Anche da ministro dei Trasporti, Matteo Salvini continua a sentire la nostalgia di piazza del Viminale. Lo aveva chiesto a gran voce a Giorgia Meloni al momento di dividersi i dicasteri, ma la premier non aveva voluto sentire ragioni: vicepremier sì e anche con un ministero di peso, ma all’Interno ha voluto un tecnico e non un ex con un processo in corso, per sequestro di persona, legato proprio a quella sua avventura al Viminale. Eppure, la passione di Salvini per la sicurezza e per le informazioni riservate è rimasta tale e non è stata scalzata nemmeno dal ponte di Messina.

In realtà un piede nel dicastero il leader della Lega lo ha tenuto: non per vie istituzionali, ma grazie a un saldo rapporto con la polizia di stato coltivato nei suoi anni da ministro. Ora le felpe sono finite in fondo al suo guardaroba, ma per anni quella color granata della polizia è stata tra le preferite di Salvini e anche a margine dei suoi comizi in giro per le piazze non è raro vederlo scendere dal palco per un selfie con gli agenti del servizio d’ordine e uno scambio di contatti telefonici.

E negli anni l’amore di Salvini per la sicurezza, utilizzata come argomento politico, è sfociato in indagini fai da te a favore di telecamere, divulgazione di video di provenienza incerta e, oggi, riletture parziali di precedenti penali.

I precedenti

Il primo caso del Salvini formato sceriffo è stato quello dell’ormai famigerata citofonata di Bologna a casa di un presunto spacciatore. Era il 2020 e il leghista, ormai già ex ministro dell’Interno e in piena campagna elettorale per le regionali, aveva suonato il campanello di casa di una famiglia di origini tunisine per chiedere: «Scusi, lei è uno spacciatore?». Incidentalmente, da mesi la squadra mobile teneva d’occhio il quartiere per colpire la rete locale dello spaccio di droga e la scenetta di Salvini aveva complicato non poco l’indagine in corso.

Che Salvini abbia sempre preferito i blitz mediatici alle carte giudiziarie, del resto, è stato chiaro col caso Apostolico. La giudice di Catania aveva firmato una ordinanza per l’uscita dal Cpr di alcuni migranti, nonostante le norme volute dal Viminale, e Salvini ha tirato fuori dal cilindro un video della magistrata a una manifestazione pro migranti.

Un colpo da maestro per spostare l’attenzione dalla questione giuridica, adombrando dubbi sull’indipendenza di Apostolico. Anche in questo caso il video è stato frutto di una fortunata soffiata: il filmato risaliva al 2018 e – come è stato ricostruito in un’indagine conclusa con l’archiviazione – è stato girato da un carabiniere in servizio, che poi lo ha diffuso su una chat legata al deputato leghista Anastasio Carrà, a sua volta membro dell’Arma. Da lì, il passaggio al team social di Salvini.

Il caso Salis

Quando l’ex ministro dell’Interno individua un avversario utile alla sua narrazione securitaria, la strategia è sempre la stessa: rovistare nel suo passato per utilizzarlo come arma di aggressione. Così è stato anche con Ilaria Salis, la militante antifascista da quasi un anno in carcere in Ungheria: «Se colpevole, non può insegnare». La questione riguarda le condizioni in cui la donna è detenuta, ma l’obiettivo di Salvini è quello di spostare l’attenzione sulla sua presunta pericolosità sociale.

Per farlo è arrivata un’imbeccata apparentemente perfetta: il nome di Salis è comparso in un’indagine del 2017 per l’aggressione di alcune militanti leghisti che avevano allestito un gazebo a Monza. Salvini e i suoi sono subito andati all’attacco. Peccato che l’informazione sia giunta allo staff del leader in modo parziale: Salis è stata imputata, ma è stata anche assolta in dicembre per non aver commesso il fatto, con richiesta sostenuta dal pm e la Lega nemmeno costituita parte civile. Per questo probabilmente il partito locale non ha saputo come e se si è concluso il procedimento, a cui i giornali locali hanno dato poca evidenza.

Tecnicamente, la sede in cui risultano i precedenti penali ma senza indicazione degli esiti processuali è lo Sdi, il Sistema d’indagine che però è accessibile solo alle forze dell’ordine, per verificare il “curriculum” giudiziario dei soggetti su cui stanno svolgendo accertamenti.

La notizia dell’assoluzione ha garantito l’effetto boomerang, ma l’ultimo comunicato del partito ha rincarato la dose con un ostentato linguaggio burocratico: «Salis è soggetto ampiamente noto alle forze dell’ordine» e, giovedì, la macchina salviniana ha lavorato con più attenzione.

Dopo la querela del padre di Salis nel confronti di Salvini, il precedente penale è stato finalmente trovato: «La Lega auspica che Ilaria venga assolta rapidamente da tutte le accuse, a differenza di quanto è avvenuto in altra vicenda chiusasi con sentenza di condanna confermata in Cassazione il 3 luglio 2023 per concorso morale nella resistenza a pubblico ufficiale». La pericolosità sociale è servita, individuata anche dalle stanze del ministero dei Trasporti.

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