Il caso di Ilaria Salis, l’italiana detenuta in Ungheria e portata in udienza con le catene a mani e piedi, insegue la premier Giorgia Meloni anche al vertice europeo di Bruxelles.

La presidente del Consiglio non ha potuto sottrarsi ai microfoni e per la prima volta ha parlato della vicenda, anche perché alla vigilia dell’incontro coi leader europei il suo primo colloquio è stato proprio con il presidente ungherese Viktor Orban, suo amico e alleato che ieri ha annunciato il suo ingresso nei Conservatori europei guidati proprio da Meloni.

E l’esito è stato un allineamento italiano alla posizione ungherese, la cui linea è: il caso Salis non esiste. Dal punto di vista comunicativo, infatti, il presidente Orban ha preso in mano la vicenda, che sul fronte ungherese è stata attenzionata visti anche i movimenti dei vertici istituzionali dopo lo scoppio della polemica in Italia.

E il presidente, a differenza di Meloni, non si è chiuso nel silenzio ma ha approfittato dei microfoni per invertire la narrazione e dare la sua versione dei fatti: «Ho raccontato nei dettagli il caso a Meloni. Le ho detto che la magistratura non dipende dal governo, ma dal Parlamento. L'unica cosa che sono legittimato a fare è fornire dettagli sul suo trattamento in carcere ed esercitare un'influenza perché abbia un equo trattamento». Poi ha smentito la denuncia di Salis di essere stata lasciata per mesi senza possibilità di comunicare: «Salis ha potuto fare delle telefonate e non è stata isolata dal mondo». Il caso è stato poi chiuso dal portavoce di Orban, Zoltan Kovacs, secondo cui non c’è da stupirsi delle catene ai polsi durante l’udienza: «I reati in questione sono gravi, sia in Ungheria che a livello internazionale. Le misure adottate nel procedimento sono previste dalla legge e adeguate alla gravità dell'accusa del reato commesso». Insomma, meloni ha ricevuto «tutti i dettagli», a Salis «sono stati garantiti tutti i diritti» e ad essere scorrette sono state le ricostruzioni italiane. Ed evidentemente inattendibile è anche la lettera di Salis agli atti del tribunale di Milano, in cui la donna ha raccontato di essere stata trattata «come una bestia al guinzaglio». Ieri, inoltre, l’avvocato della donna ha denunciato che Salis è stata interrogata dal personale del carcere dopo l’udienza di lunedì e, alla fine, le è stato fatto firmare un verbale in lingua ungherese che lei non ha potuto comprendere.

Se nei giorni scorsi era trapelata la volontà di Meloni di tentare di risolvere positivamente la vicenda in tempi rapidi, la mossa di Orban l’ha colpita e affondata. Al termine del vertice europeo e incalzata dai cronisti, infatti, la premier si è allineata alla linea dell’amico ungherese: «Con lui ho parlato del fatto che a Salis sia riservato un trattamento di dignità, di rispetto, un giusto processo, ma anche un veloce processo», ma «nè io nè Orban possiamo entrare nel giudizio che compete alla magistratura». Anzi, anche Meloni come in Italia Matteo Salvini ha sottolineato che Salis dovrà dimostrare «la sua estraneità da questa banda cosiddetta “del martello”», ovvero dall’accusa di far parte di una associazione terroristica: «Spero possa provare la sua innocenza». A lei, «come a tutti gli italiani», sarà garantita l’assistenza necessaria. Unico spiraglio di autonomia rispetto alla linea di Orban, la speranza che «si possa fare qualcosa di più sulla data della prossima udienza», rinviata a maggio.

Le manette

Profilo basso anche sull’aspetto che più ha colpito l’opinione pubblica italiana: le manette a mani e piedi e il guinzaglio con cui la donna è stata portata in udienza. La linea della premier, schiacciata dalle dichiarazioni di Orban, è stata quella di minimizzare come prima di lei hanno fatto anche altri esponenti della maggioranza. «Non è un trattamento riservato a questo detenuto: accade in diversi Stati occidentali. Sono immagini che da noi impattano, ma in diversi Stati sovrani funziona così, non è una cosa così rara».

La linea finalmente espressa da Meloni, quindi, è di poco dissimile da quella di Salvini: minimizzare qualsiasi dubbio sullo stato di detenzione in cui è tenuta Ilaria Salis e, nel caso, portare l’attenzione non sui suoi diritti anche di imputata ma sul fatto che la donna dovrà dimostrare la sua innocenza. La rincorsa a destra della premier ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai ranghi di Fratelli d’Italia che – con l’eccezione di Fabio Rampelli – ha continuato a mantenere assoluto silenzio sulla vicenda sino anche a negare di aver visto le foto, come ha fatto nei giorni scorsi il ministro Francesco Lollobrigida.
Sempre con la sua proverbiale discrezione, l’unico a tentare di non politicizzare il caso Salis è stato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, direttamente investito della vicenda. «Evitiamo di trasformare una vicenda giudiziaria in un fatto politico. Io sono garantista sempre, dobbiamo guardare alla persona. A me non interessa se Salis sta dentro per un reato di tipo politico», ha detto rispondendo indirettamente a Matteo Salvini, che in questi giorni si è divertito a seminare dubbi sul passato di Ilaria Salis, sui suoi precedenti penali e sulla sua presunta colpevolezza in Ungheria.

I colloqui belgi, tuttavia, segnano l’appiattimento sulla versione di Orban: l’Italia non ha ragione di lamentarsi di alcun che. Con buona pace delle direttive europee in materia di detenzione e proporzionalità della pena (Salis rischia 24 anni per il reato di lesioni personali guaribili in 8 giorni) e i molti dubbi già sollevati dall’Ue sull’indipendenza della magistratura ungherese.

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