Il primo match fra Elly Schlein e Giorgia Meloni, combattuto sul ring del question time della Camera, è andato alla segretaria Pd. E ora i dem cercano di non fare errori. «Mercoledì abbiamo segnato un punto», diceva giovedì Matteo Orfini in Transatlantico.

Per altri, vicini e lontani alla segretaria, quel gol «ha fatto clima». Ma questo clima durerà? E la segretaria ha fatto davvero uno scarto? I tanti no alla sua corsa per l’Europa restano, ma ora l’imperativo di tutti e non rovinare quest’onda.

E siccome già giovedì, alle 11 e 30 a Montecitorio, era convocata la riunione congiunta dei gruppi dem sulla mozione sul medio oriente, tutti si sono impegnati a non far riesplodere le differenze sulla politica estera: ovvero non replicare le divisioni sulla mozione sull’Ucraina e archiviare i malumori sulla questione delle armi a Tel Aviv. Obiettivo raggiunto, anche con facilità, viene assicurato.

Alle due e mezza del pomeriggio Schlein esce dalla riunione e annuncia ai cronisti che «il Pd è unito sulla necessità di continuare a dare la massima attenzione al drammatico conflitto in medio oriente». L’iniziativa della mozione è per «costringere il governo a un’azione diplomatica e politica che non tradisca la tradizione di questo paese sulla soluzione “due popoli, due stati”».

Ma se «Israele esiste già, e ha il diritto di vivere in pace e sicurezza, l’altro stato», la Palestina, «non è stato ancora riconosciuto». Schlein rilancia subito la sfida a Meloni, che durante il question time, in risposta a Nicola Fratoianni (Avs), si è detta favorevole alla formula “due stati”. Schlein le chiede di essere conseguente: «Allora voti la nostra mozione».

Il miracolo dell’armonia dem

La concordia si materializza con il concorso di tutte le componenti, consapevoli che la prima notizia di dissensi interni farà svanire l’effetto positivo del mercoledì da leonessa della leader. Più tardi neanche la rimozione dal ruolo di vicesegretaria provinciale della consigliera veneta Bigon (che si è astenuta sulla legge sul fine vita), guasta la festa: dal Nazareno si affrettano a dichiarare che la scelta è del segretario di Verona «in totale autonomia».

Alla riunione di Montecitorio parlano in molti: Provenzano, Delrio, Fassino, Amendola, Alfieri, Quartapelle, Speranza, Orlando. Lorenzo Guerini dà la sua benedizione davanti ai cronisti: «Chi ha lavorato alla mozione ha lavorato bene». Ci ha lavorato Peppe Provenzano, responsabile Esteri e promotore dell’iniziativa (sulla linea del premier spagnolo Sánchez), Enzo Amendola, vicino a Paolo Gentiloni, e Alessandro Alfieri, senatore, diplomatico e esponente di rango della minoranza. Nella discussione pochi distinguo, racconta chi c’era, «questioni di sfumature o sottolineature». Alla fine i firmatari della mozione sono molti, altro segnale di compattezza.

Resta qualche apprensione sui testi degli altri gruppi, in particolare M5s e l’ex Terzo Polo. Proveranno a sfidare il Pd da sinistra e da destra. Ma la speranza è che a finire in difficoltà stavolta sia Meloni. La mozione dem è stata depositata giovedì, per prima.

Dunque al momento del voto sarà esaminata per prima. Il governo dovrà dare il suo parere, e in caso negativo spiegarne le ragioni. Meloni in aula si è smarcata dal suo vecchio amico Bibi: «L’Italia è da sempre per uno stato palestinese, per questo non condivido la posizione espressa dal primo ministro israeliano sulla materia».

Ma senza esagerare perché, per il riconoscimento dello stato di Palestina, «il presupposto è il riconoscimento degli interlocutori di Israele e del diritto degli israeliani a vivere in sicurezza». Già avverte Provenzano: «Se è davvero questa la sua posizione, sembra che Meloni non sappia di che parla: l’Anp ha già riconosciuto Israele. Se invece parlasse di Hamas, sarebbe un cortocircuito logico: Hamas è un’organizzazione terroristica, riconosciuta come tale dall’Ue».

Dem tutti uniti, e tutti contro la destra al governo. Anche perché il governo ne fa una al giorno. Nel pomeriggio nei palazzi rimbomba una notizia che li scandalizza tutti: l’ambasciatore Mario Vattani, già console fascio-rock al centro di tante polemiche per quella sua esibita convergenza a destra, è stato promosso da plenipotenziario ad «ambasciatore di grado» da palazzo Chigi. Fra l’altro in una tornata di dieci nomine, tutti uomini.

La mozione Pd

La mozione sul medio oriente è lunga e articolata, per non prestare il fianco a equivoci. Ma è severa con il presidente Netanyahu: di certo troppo per Meloni. Condanna gli attacchi terroristici di Hamas contro Israele; esprime preoccupazione per «il crescente manifestarsi di forme di antisemitismo in tutta Europa».

Ma non fa sconti al governo israeliano: per le decine di migliaia di vittime civili palestinesi, per i pericoli di un’escalation nell’area, per l’espressa «volontà di negare la prospettiva della convivenza pacifica e della soluzione dei “due popoli, due stati”», perché alimenta le violenze dei coloni in Cisgiordania.

La richiesta di impegno al governo italiano è di «sostenere ogni iniziativa volta a chiedere un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza» per «perseguire la liberazione incondizionata degli ostaggi e tutelare l’incolumità della popolazione civile di Gaza»; di promuovere «iniziative di de-escalation della tensione in medio oriente», e una Conferenza internazionale di pace verso «la soluzione politica dei “due popoli, due stati”».

Di «promuovere, in tutte le sedi multilaterali, una missione internazionale di interposizione a Gaza, sotto l’egida Onu, che coinvolga i paesi arabi». E ancora: sanzioni contro i coloni, ripristino «dei fondi per le ong italiane che operano in Palestina e in Israele», sostegno di «ogni iniziativa utile, nelle sedi giurisdizionali internazionali, volta ad accertare le violazioni, da chiunque compiute, del diritto internazionale e umanitario, autorizzando il lavoro di Commissioni d’inchiesta indipendenti».

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