Perché la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, soltanto oggi ha fatto sapere che andrà, il 21 luglio, a riferire in parlamento sulle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere? Dal ministero spiegano che non è stata cattiva volontà, ma un problema di agenda: Cartabia ha chiesto al ministro per i Rapporti con il parlamento, il Cinque stelle Federico d’Incà, di fissare una data e sta aspettando.

Piccolo dettaglio: dal ministero di D’Incà precisano che la richiesta di Cartabia di rispondere in parlamento è arrivata solo stamattina. La prima notizia dei pestaggi, pubblicata da Domani, è del 28 settembre 2020, i video sono stati rivelati il 29 giugno di quest’anno. Questo lungo silenzio ha una spiegazione semplice e sorprendente: la questione è stata sottovalutata a tutti i livelli del ministero. E ora non sanno bene come gestire una situazione diventata esplosiva proprio perché lasciata incancrenire.

«Non dovete processarci», ripetono gli agenti della polizia penitenziaria. Lo hanno ribadito alla ministra Cartabia che visita i padiglioni del carcere con il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Una frase che nasconde un tema, enorme, di tenuta e di stabilità delle carceri e di chi, quotidianamente, ci lavora. La paura degli agenti è che il pestaggio di stato finisca per penalizzare l’intero corpo, il timore del governo è il rischio di alienare i poliziotti penitenziari che devono garantire la sicurezza negli istituti di pena.

La visita

«La ministra ha fatto benissimo ad andare a Santa Maria Capua Vetere, nel carcere Francesco Uccella, perché il rischio è minare la fiducia degli agenti. La giornata nera è colpa di tanti», dice un funzionario del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. La giornata nera è il 6 aprile 2020 quando 300 secondini sono entrati, molti muniti di casco, e hanno picchiato i detenuti inermi del reparto Nilo. Nel suo intervento la ministra si è limitata a ripetere urgenze già espresse in altre sedi, ma non ha indicato una strategia per evitare nuove “Santa Maria”.

La funzione profonda dell’evento era la riconciliazione, la presa di responsabilità davanti ai detenuti, ma soprattutto davanti al personale. «Gli agenti sono profondamente scossi da quanto emerso, ma soprattutto non accettano che tutto ricada su chi ha dato le manganellate. La questione riguarda la catena di comando, la testa dell’amministrazione che aveva autorizzato quella “perquisizione straordinaria”. Nelle carceri molti agenti si sentono abbandonati, meno sicuri, e allora il ragionamento può essere “entrate voi nei reparti”», continua il funzionario che chiede di non essere citato per nome. Il disimpegno è un rischio enorme che bisogna evitare.

Il momento è delicatissimo perché quando si parla di carceri non si parla solo di stabilità interna, ma anche esterna. Quella che pesa negli incontri internazionali dove certe immagini contano perché ridimensionano all’estero la credibilità del paese. Per questo la ministra Cartabia ha condiviso la visita con il presidente del Consiglio Draghi. Il commissario europeo Didier Reynders, nei giorni scorsi, aveva detto che «la violenza non è mai tollerabile», prima di chiedere una commissione indipendente per accertare i fatti. «Ringrazio il presidente del Consiglio che ha condiviso con me il desiderio di visitare il carcere di Santa Maria Capua Vetere, dopo la pubblicazione delle immagini dei gravissimi fatti accaduti fra queste mura poco più di un anno fa che hanno fatto il giro del mondo», ha detto la ministra Cartabia nel suo intervento, dando un messaggio chiaro all’esterno – all’Europa – ma anche all’interno. Una strategia necessaria e figlia della sottovalutazione del caso.

La sottovalutazione

Il 16 ottobre dello scorso anno il governo Conte II ha risposto a un’interrogazione parlamentare parlando del 6 aprile come di una giornata nella quale è stata ripristinata la legalità. È stata considerata veritiera la relazione che il provveditore Antonio Fullone, oggi sospeso perché interdetto, aveva inviato al capo del Dap, Francesco Basentini.

Già all’epoca Fullone era indagato perché aveva ordinato la perquisizione. Anche quando cambiano ministro e vertici del dipartimento non muta la lettura di quei fatti. Nessuno ha creduto alle descrizioni fornite dai testimoni, nessuno ha creduto al pestaggio di stato prima dei video. Quando si è insediata la ministra, il Dap non ha allertato Cartabia di un potenziale e gigantesco scandalo rappresentato dai fatti di Santa Maria perché semplicemente avevano sottovalutato il caso. La ragione è la carenza di riscontri.

«Trasmissione atti non più procastinabili», scriveva il dipartimento alla procura di Santa Maria Capua Vetere lo scorso anno. Ma i magistrati inquirenti hanno negato le informazioni per tre volte perché c’erano esigenze di segretezza delle indagini. Quando è stato fornito l’elenco degli indagati risultava sprovvisto dei titoli di reato e così il dipartimento si è limitato a trasferire un comandante. Anche se all’epoca era noto il reato contestato, cioè la tortura, come evidenziato dai sindacati e dagli stessi agenti indagati, sostenuti dalla visita dell’ex ministro Matteo Salvini. Non c’erano carte, ma c’erano tanti, troppi elementi noti. C’erano 77 detenuti che avevano visto i video, noti anche ad alcuni indagati che dovevano contribuire al riconoscimento degli agenti. Non solo. Tra settembre e ottobre, grazie a diversi testimoni, questo giornale ha pubblicato articoli descrittivi dei pestaggi e delle violenze.

Il giorno della prima inchiesta, il 29 settembre, il garante dei detenuti campano, Samuele Ciambriello, ha detto: «Ora ci sono le immagini che provano le violenze. Solo pochi detenuti sono stati trasferiti, la maggior parte è rimasta nello stesso reparto, il Nilo, dove avvennero i pestaggi, insieme agli agenti denunciati. Non capisco perché il Dap non intervenga con i trasferimenti di tutti i detenuti o dei poliziotti coinvolti nella vicenda». Il dipartimento non è intervenuto.

Non immaginavano dai piani alti del Dap quello che sarebbe emerso dai video. L’amministrazione ha trascurato le inchieste e le denunce. Dopo la pubblicazione delle immagini, corre ai ripari avviando indagini su tutte le rivolte e la ministra ci mette la faccia per evitare conseguenze più gravi.

 

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