Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato con riserva, cioè con rilievi critici, la legge di conversione del cosiddetto decreto Milleproroghe.

Non è il suo primo intervento all’atto di promulgazione di una legge. Nel luglio 2018, in sede di conversione del decreto Terremoto, Mattarella aveva evidenziato in una lettera taluni profili che, «pur non costituendo una palese violazione della legittimità costituzionale», suscitavano «forti perplessità».

In occasione della conversione del decreto Sicurezza bis, nell’agosto 2019, il capo dello stato aveva indicato rilievi di natura costituzionale, auspicando miglioramenti nella disciplina. Mattarella è intervenuto di nuovo nel settembre 2020 (decreto Semplificazione) e poi nel luglio 2021 (Misure urgenti Covid), sottolineando la moltiplicazione di decreti legge adottati a distanza ravvicinata, con sovrapposizione e intreccio di fonti normative, nonché il mancato rispetto del requisito dell’omogeneità del contenuto.

I decreti Milleproroghe

Il decreto Milleproroghe è un provvedimento unitario che interviene su una serie di termini – prorogando scadenze o rinviando l’entrata in vigore di alcune disposizioni – che altrimenti richiederebbero provvedimenti distinti. Dal 2001 il Milleproroghe è di solito approvato alla fine dell’anno. Ma nel 2004 ci sono stati due Milleproroghe nell’arco di poco più di un mese (il 9 novembre e il 30 dicembre), mentre nel 2003 e nel 2006 ne sono stati approvati due su base semestrale. Nel 2018 il decreto non è stato adottato alla fine dell’anno, ma il 25 luglio, mentre nel 2017 non vi c’è stato alcun Milleproroghe.

Lo strumento è stato oggetto di valutazione da parte della corte Costituzionale nel 2012. La corte ha preso atto che il decreto Milleproroghe attiene «ad ambiti materiali diversi ed eterogenei», quindi non risponderebbe al previsto requisito dell’omogeneità. Ma tale requisito può reputarsi rispettato quando il decreto presenti la «ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal governo e dal parlamento, o di incidere su situazioni esistenti che richiedono interventi regolatori di natura temporale».

In buona sostanza, quando il decreto sia connotato da una «omogeneità di scopo». Ciò esclude – continua la corte – che esso possa dettare «la disciplina “a regime” di materie o settori di materie» rispetto alle quali manca il presupposto della «necessità temporale». In questi casi va seguita l’ordinaria iniziativa legislativa.

La nota di Mattarella

Nella nota di accompagnamento alla promulgazione del decreto, Mattarella afferma che quando si smarrisce la ratio unificatrice dei Milleproroghe – cioè «l’esigenza regolatoria di carattere temporale» – essi divengono «decreti legge omnibus del tutto disomogenei», vale a dire «meri contenitori dei più disparati interventi normativi».

Questa è la situazione dell’ultimo Milleproroghe, nel quale sono presenti disposizioni «che non recano proroghe di termini in senso stretto ma provvedono a introdurre o a modificare la disciplina sostanziale a regime in diverse materie». Mattarella qualifica tali disposizioni come non conformi «ai principi e alle norme costituzionali in materia», poiché in violazione dei paletti messi dalla Consulta nella sentenza citata.

Ciò nonostante, il presidente ha firmato la legge di conversione del decreto. Le motivazioni sono esposte nella stessa nota. Il rinvio alle camere di una legge di conversione, a pochi giorni dalla scadenza, avrebbe fatto «venir meno, con effetti retroattivi, in molti casi in maniera irreversibile, tutte le numerose altre disposizioni che il decreto legge contiene, determinando incertezza e disorientamento nelle pubbliche amministrazioni e nei destinatari delle norme». Peraltro, ha continuato Mattarella nella lettera, il governo intenderebbe «ricondurre la decretazione d’urgenza entro i limiti costituzionali».

Nella nota di richiamo che accompagnava la legge del 2021 Mattarella aveva affermato che, se in futuro gli fossero stati sottoposti provvedimenti «caratterizzati da gravi anomalie», avrebbe provveduto al rinvio alle camere. Ma con il Milleproroghe non l’ha fatto. Sarebbe stato meglio che il presidente non avesse usato toni ultimativi, considerato che poi ha fatto di nuovo ricorso alla “promulgazione dissenziente”. A fronte delle retromarce dei governi, in particolare di quello attuale, e delle contraddizioni della politica, il presidente della Repubblica dovrebbe fare in modo di restare un baluardo di coerenza.

I balneari

Come avevamo spiegato su queste pagine, nel novembre 2021 il Consiglio di stato (Cds), in adunanza plenaria, con due sentenze gemelle aveva affermato che la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative contrastava con il diritto dell’Ue. Pertanto, le concessioni in essere avrebbero cessato di produrre effetti oltre il 31 dicembre 2023 «anche in assenza di una disciplina legislativa». La data fissata dal Cds è stata “recepita” nella legge annuale sulla concorrenza dal governo di Mario Draghi, che tuttavia ha previsto la possibilità di prorogare tale termine al 31 dicembre 2024 per «ragioni oggettive».

Nella nota di accompagnamento al Milleproroghe, Mattarella ha individuato criticità riguardo alle concessioni marittime: spostare il termine di efficacia al 31 dicembre 2024, con possibilità di differimento al 31 dicembre 2025, contrasta con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali, oltre a non rispettare gli «impegni in termini di apertura al mercato assunti dall’Italia nel contesto del Piano nazionale di ripresa e resilienza».

Ciò «accresce l’incertezza del quadro normativo», afferma il Quirinale. Incertezza accentuata dal fatto che – aggiungiamo noi –, ai sensi delle pronunce del Cds, norme nazionali che disponessero eventuali proroghe andrebbero considerate «tamquam non esset», cioè come se non esistessero, e quindi non dovrebbero essere applicate né dai giudici né dagli organi amministrativi. Ciò significa che, nonostante il prolungamento delle concessioni disposta dal Milleproroghe, i comuni potranno comunque metterle a gara, con il probabile avvio di contenziosi, fonte di ulteriore confusione.

L’incoerenza del governo

«Il governo terrà conto del richiamo del presidente Sergio Mattarella, lavoreremo in modo compatto per valutare le soluzioni migliori e più opportune», ha reso noto il ministro agli Affari europei, Raffaele Fitto.

Sorgono alcuni dubbi. In primo luogo, durante la discussione in parlamento della legge di conversione del Milleproroghe, era palese la strada intrapresa riguardo alle concessioni marittime: perché Mattarella non ha esercitato la propria moral suasion prima del varo della legge stessa?

Il presidente forse l’ha fatto, si potrebbe obiettare. In questo caso, da un lato, sarebbe grave che il governo avesse ignorato le obiezioni di costituzionalità formulate ex ante da parte del capo dello stato; dall’altro lato, il mero richiamo ex post operato da quest’ultimo nella nota di accompagnamento al decreto forse non sortirà effetti migliori.

In secondo luogo, se il governo era consapevole del contrasto con norme europee e pronunce del Cds, oltre che della procedura di infrazione da parte dell’Ue, perché ha comunque disposto la proroga delle concessioni? E qual è il senso di affermare, appena varata la legge, dopo il richiamo del presidente, che rimedierà alla situazione? Forse voleva compiacere i gestori di stabilimenti balneari, e ora potrà giustificare un’eventuale retromarcia con l’alibi del richiamo del Colle?

Intanto, la Commissione europea ha definito «inquietante» la proroga delle concessioni al 2024, rilevando la necessità di garantire «trasparenza e concorrenza leale» in questo settore. La questione delle concessioni balneari, che l’Italia ha trasformato in una farsa, è destinata a proseguire.

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