All’interno dell’Unione europea non ci possono essere norme che prevedono sentieri privilegiati per alcuni imprenditori rispetto ad altri. L’azione legale intrapresa ieri dalla Commissione europea nei confronti del Portogallo sulle concessioni balneari è un avvertimento anche alla maggioranza del governo delle corporazioni di Meloni che da tempo solletica l’idea di adeguarsi formalmente alla necessità di gare nel settore del demanio marittimo, ma favorendo in partenza gli attuali gestori.

Già a settembre l’attuale ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini spiegava: «Per quello che mi riguarda, per il futuro le concessioni balneari devono andare a gara, garantendo però un diritto di prelazione a chi ne è adesso titolare e un’eventuale buonuscita».

Evitare la parità di diritti 

L’obiettivo è sempre lo stesso: evitare la concorrenza sostanziale e quindi la parità di diritti e restringere la possibilità di nuovi ingressi nella gestione delle spiagge, poco importa che questo possa portare un migliore o un maggiore sviluppo a favore di tutti. E però il caso portoghese, paradossalmente utilizzato a cadenza regolare dalla propaganda di destra e dalla lobby del settore come un esempio da seguire, racconta proprio che questo sentiero ci porta dritto verso le sanzioni europee per violazione del diritto dell’Unione. 

Quello inviato ieri al Portogallo è tecnicamente un “parere motivato”, cioè una delle fasi più avanzate delle azioni legali che la Commissione europea intraprende verso gli stati, dopo il parere motivato, se lo stato non prende provvedimenti correttivi, c’è il deferimento alla Corte di giustizia e al secondo deferimento arrivano le sanzioni. 

La bocciatura del Portogallo

In questo caso la Commissione è convinta che la legge portoghese che dà agli attuali titolari delle concessioni balneari «un diritto di preferenza nelle procedure di gara per il rinnovo di tali concessioni non appaia compatibile con la direttiva servizi e con la libertà di stabilimento».

La preferenza a favore degli operatori storici, infatti, «penalizzerebbe e scoraggerebbe le imprese situate in altri Stati membri dal fornire servizi balneari in Portogallo». Se un giovane italiano vuole aprire un business sulle spiagge portoghesi, in sostanza, dovrebbe partecipare a gare pubbliche alla pari degli altri perché i cittadini europei devono godere degli stessi diritti all’interno dell’Unione. 

 La legge portoghese, invece, prevede una deroga per cui gli attuali titolari possono comunicare un anno prima della fine della concessione la volontà di mantenerla e dieci giorni prima della gara devono confermare la volontà di aderire ai requisiti del bando.

La riforma italiana

La Commissione aveva richiamato lo stato a cambiare la norma una prima volta lo scorso aprile con una lettera di messa in mora, cioè la stessa procedura avviata nei confronti dell’Italia a dicembre del 2020, sono passati nove mesi e ora l’iniziativa legale è entrata nella fase successiva. Per il nostro paese, invece, l’Ue ha mostrato molta più indulgenza, lasciando all’ex premier Mario Draghi la possibilità di attendere il pronunciamento del Consiglio di stato prima di agire, scontentando la sua maggioranza composita.

Bruxelles, però, attendeva una mappatura delle concessioni entro febbraio, visto che il nostro stato non sa nemmeno con precisione quali sono i suoi beni pubblici affidati ai privati. Ora la maggioranza del governo Meloni ha deciso di rinviare di altri mesi la riforma che include anche la definizione dei criteri con cui si aggiudicano le gare. E dopo aver rinunciato o aver fallito il tentativo di prorogare le concessioni, già diversi membri del governo hanno garantito che ai vecchi titolari devono essere riconosciuti vantaggi rispetto agli altri.

Ecco, ora anche dal Portogallo ci ricordano che non si può fare e che la sfacciata azione politica in favore di una lobby e contro i diritti di tutta la cittadinanza ci porta in rotta di collisione con l’Unione europea. 

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