Il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini ha detto alla Camera di parlare anche a nome del premier Mario Draghi. In questa cornice solenne ha dato ai fan del ponte sullo Stretto di Messina una notizia buona e una cattiva. Quella cattiva è che siamo all’anno zero. Non c’è uno straccio di progetto e tutto il lavoro fatto negli ultimi 50 anni (spendendo per niente un miliardo di euro) non consente neppure di sapere che tipo di ponte fare e, soprattutto, se si può fare.

Con un dettaglio singolare: il ministro rivela che il ponte non era finanziabile con il Pnrr perché esclude opere che portino “danni significativi” all’ambiente. La retorica inaugurata del governo Renzi nel 2014 e proseguita da tutti quelli successivi era fondata sulla certezza che fosse tutto pronto e bastasse decidersi perché la Salini-Impregilo (oggi Webuild) aprisse i cantieri in pochi mesi. Giovannini ha detto che si riparte da zero.

La notizia buona, per tutti i gruppi politici (esclusi M5S e Leu) che amano trastullarsi con il gioco del ponte e per i professionisti che puntano a lucrosi incarichi, è che si continua a giocare: il governo Draghi ha già stanziato 50 milioni di euro per il nuovo giro di giostra che arricchirà alcuni ingegneri, avvocati ed economisti, cioè il nuovo progetto di fattibilità tecnico-economica che sarà coordinato dalla Italferr (gruppo Fs) e dovrà essere pronto entro giugno 2022. A quel punto, se tutto va bene, si parte: nuovo progetto definitivo, gara d’appalto, aggiudicazione, nuovo progetto esecutivo e, chissà quando, apertura dei cantieri. Costo previsto 10 miliardi di euro, tutti a carico dello stato.

Giovannini ha ammesso che l’idea del project financing, con cui ci si è baloccati per decenni, è impraticabile perché far pagare il ponte a chi ci passa imporrebbe tariffe stellari. Il dettaglio significativo è che il traffico non pagherà neppure la manutenzione, sul cui costo nessuno azzarda ipotesi. Nel frattempo il governo ha stanziato 500 milioni per migliorare il sistema dei traghetti destinati a unire la Sicilia all’Europa ancora per chissà quanti anni. Le migliorie saranno effettive entro il 2025, secondo le promesse del governo. Giovannini ha dato conto delle conclusioni del gruppo di lavoro istituito dal governo precedente e i cui componenti molto qualificati hanno lavorato a titolo gratuito, non si sa per quante ore.

Gli esperti hanno escluso le ipotesi del tunnel subacqueo e del tunnel subalveo, cioè collocato sotto il fondo del mare. Le due soluzioni erano state già considerate impraticabili circa 30 anni fa per le stesse ragioni nuovamente asseverate da nuovi esperti. Hanno però riportato in vita un’altra idea scartata nel secolo scorso, cioè quella del ponte a tre campate, innervosendo tifosi e lobbisti del progetto Webuild.

Il progetto che non c’è

Il ponte affidato a Webuild è a una sola campata, appesa a due piloni di cemento armato piazzati sulla terra ferma, fino a 400 metri di altezza. La campata è lunga oltre tre chilometri (non ci sono precedenti nella storia del mondo) e pone seri problemi non solo di realizzazione ma anche di resistenza al vento che tra Scilla e Cariddi soffia forte. Infatti Giovannini ha dovuto ricordare un’altra cosa nota dal secolo scorso. Secondo la statistica meteo, il ponte per una settantina di giorni all’anno (un giorno su cinque) dovrà essere chiuso a causa del vento che lo farà pericolosamente oscillare: potrebbe anche lanciare le auto in mare, come una fionda. E siccome non si possono prevedere i giorni di vento, anche con il ponte i traghetti dovranno rimanere sempre pronti a caricarsi auto, tir e treni. Nei secoli dei secoli, chi farà il biglietto per andare a Palermo con il treno ad alta velocità non potrà sapere se passerà sul ponte o verrà caricato su un traghetto, con allungamento del viaggio di una o due ore, cioè perdita del vantaggio per cui i tifosi del ponte dicono che conviene farlo.

Il ponte a tre campate, secondo Giovannini, ha dei vantaggi: si può fare più lungo, costerebbe meno e sarebbe meno esposto al vento. Nel secolo scorso l’idea fu scartata perché i due piloni andrebbero piantati sul fondo del mare che nello Stretto è molto profondo e presenta incognite geologiche: faglie sismiche e fondale ghiaioso le principali. Entro giugno prossimo approfonditi studi geologici dovrebbero dare un responso sulla fattibilità che quasi tutti i geologi già considerano un’ipotesi remota.

Si tornerà quindi al ponte a una sola campata, il cui progetto è però da buttare. Giovannini nota che non è mai stato completato l’iter autorizzatorio, che il progetto andrebbe aggiornato alle nuove norme europee, che nel 2013 l’apposita commissione ha ritenuto "di non poter esprimere parere sulla compatibilità ambientale del progetto", tali e tante erano le anomalie: delle 25 richieste di modifica del progetto solo 6 erano state ottemperate. «Con un giudizio così», ha detto Giovannini, «la richiesta di fondi Pnrr sarebbe stata difficilmente argomentabile». Comunque il ministro ha detto che il rapporto contrattuale con Webuild è “caducato” e che per far tornare in campo la società di Pietro Salini (partecipata dalla Cassa depositi e prestiti) servirebbe una legge.

A questa raffica di notizie non nuove Giovannini ha fatto seguire una rassicurazione: «Non è vero che il governo ritiene questa un’opera inutile». Adesso spenderà 50 milioni per dirci se è fattibile.

 

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