La maggioranza si divide in due davanti alla proposta di collaborazione lanciata dalla segretaria del Pd, Elly Schlein. Per una Giorgia Meloni che si fa strappare un sì di circostanza, o meglio un «lo facciamo già da tempo» - probabilmente nel timore che una piattaforma condivisa con l’opposizione diventi un’arma a doppio taglio nello scontro politico – una parte del governo capitanato soprattutto dalla ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, sembra più propenso ad accogliere l’invito di lavorare a un testo bipartisan.

Roccella, un passato da radicale per poi convertirsi alla causa del centrodestra, ha dichiarato alla Stampa che «siamo disponibilissimi a lavorare a una legge con l'opposizione», rilanciando anche l’idea di una manifestazione di uomini contro la violenza, che a suo tempo era stata lanciata dal presidente del Senato, Ignazio La Russa. La sua, però, rischia di essere una posizione isolata dentro la maggioranza, intenta invece a rivendicare quanto già fatto.

Il giorno del governo, infatti, dovrebbe essere domani: il 22 novembre, infatti, arriverà in Senato per l’approvazione definitiva il ddl antiviolenza, che contiene prevalentemente norme di natura penale come alcune correzioni al Codice rosso, passato alla Camera con l’astensione delle opposizioni. L’attesa, però, è per quanto anticipato in fretta e furia dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che ha anche previsto in tutte le scuole un minuto di silenzio. Il piano del ministero, invece, è il progetto “Educare alle relazioni”. Il contenuto è ancora poco delineato, ma dovrebbe trattarsi di un’ora prevista solo nelle scuole superiori, in orario extracurricolare e con una cadenza non chiara, ma che non lascia presagire una sua introduzione in modo strutturato nel piano formativo degli studenti.

Secondo una prima presentazione proposta da Valditara, dovrebbe trattarsi di lezioni svolte dagli stessi studenti, guidati da esperti del settore come psicologi, avvocati e rappresentanti delle associazioni in difesa delle vittime di violenza. Durante gli incontri dovrebbero concentrarsi sull’approfondimento di diversi aspetti, come la percezione di sì, gli stereotipi, il consenso. In ogni caso non si tratterà di una legge ma di un progetto esterno ai percorsi scolastici che dovrebbe fare il paio con «l’opuscolo, con una grafica molto comprensibile, da diffondere in scuole, social, posti di lavoro» anticipato dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

Misura troppo timide, sia secondo il Pd e il Movimento Cinque Stelle, che chiedono un progetto di legge sull’educazione «affettiva e sessuale», che secondo il sindacato dei presidi DirigentiScuola, secondo cui andrebbe aperta una riflessione più ampia per riformare alla radice il sistema formativo.

Le rivendicazioni leghiste

Del resto, la linea del governo è appunto quella di rivendicare quanto già fatto, al netto del fatto che sia la delegazione della Lega che quella di FdI si sono astenuti in parlamento europeo alla ratifica della Convenzione di Istanbul sulla violenza delle donne.

In questo senso è intervenuto il deputato della Lega, Rossano Sasso, che ieri ha fatto sapere di aver chiesto la calendarizzazione della proposta di legge della leghista Laura Ravetto, che prevede di introdurre «l’educazione alle pari opportunità femminili nell’ambito dell’insegnamento dell’educazione civica», che prevede anche un passaggio sull’obiettivo di «rimuovere i pregiudizi in grado di alimentare la discriminazione o la violenza di un genere sull’altro». Linee guida, insomma. E, come ha specificato Sasso, «tenendo fuori le derive ideologiche». Proprio Sasso era stato protagonista qualche settimana fa di un durissimo scontro d’aula con il M5S in cui aveva definito «una porcheria» e «propaganda gender» una mozione dell’opposizione che chiedeva appunto di introdurre l’educazione affettiva e sessuale a partire dalle scuole elementari e nonostante il parere favorevole del governo nel caso in cui l’impegno venisse parzialmente riformulato. Proprio questa, infatti, sembra essere la grande paura del governo.

Proprio la Lega, infatti, è il partito che ha espresso posizioni più estreme. La deputata leghista ed ex magistrata Simonetta Matone, ospite a Domenica In, ha sostenuto che nella sua esperienza professionale i colpevoli di femminicidio avevano modelli materni diseducativi, come donne con mariti che le picchiavano e non si ribellavano.

«Non ho mai incontrato soggetti gravemente maltrattati e gravemente disturbati che avessero delle mamme normali», sono state le esatte parole su cui è stata presentata una interrogazione in Vigilanza Rai da parte del deputato di Europa Verde Angelo Bonelli. In Veneto, invece, il consigliere eletto nella lista di Luca Zaia Stefano Valdegamberi ha pubblicato un post in cui ha accusato Elena, la sorella di Giulia Cecchettin, di «freddezza e apaticità» e di «messaggi ideologici costruiti ad hoc», condividendo alcune sue foto prese da Facebook e sostenendo che la ragazza indossasse «simboli satanici» sui vestiti, con richiesta ai magistrati di fare indagini anche su questo «per fare chiarezza». Le parole hanno suscitato anche la dissociazione di Zaia, oltre che la richiesta di dimissioni del Pd. In questo clima, domani, si discuterà in aula di violenza di genere.

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