La destra vuole bocciare il salario minimo minimizzando l’impatto del no nel suo elettorato. E invece, tra dilazioni e papere, ottiene l’esatto opposto: regala alle opposizioni un formidabile e popolare argomento su cui attaccare, per giunta in maniera miracolosamente unitaria. E non è un bene per la maggioranza e persino per il governo: la vicenda fa male anche a Giorgia Meloni, da quando ha scoperto che una consistente parte del suo elettorato è favorevole al minimo legale. 

Goal e autogol in tre mosse

Il ritorno della proposta di salario minimo torna in commissione  con un voto di misura, nell’aula della Camera: solo 21 sì in più rispetto ai no; ma poi nel pomeriggio, proprio in commissione lavoro, la maggioranza si rifiuta di calendarizzare la discussione. Svelando, se mai ce ne fosse bisogno, l’obiettivo, e cioè rimandare il più possibile il momento della verità: quello in cui dovrà dire in concreto come alzare i salari senza introdurre il minimo legale.

La scontro si svolge in tre tappe. La giornata a Montecitorio inizia presto. In mattinata, prima che il testo faccia la sua seconda rapidissima planata in aula (dove è già stato ad agosto, giusto il tempo di votare la sospensiva del dibattito per 60 giorni), le opposizioni convocano i cronisti per presentare le firme raccolte durante l’estate. Sono «circa 500mila», spiega Maria Cecilia Guerra (Pd), ma la petizione resta aperta. 

Un’ora dopo, alle 10 e mezza, la scena si sposta in aula. Nei banchi di Lega ci sono 12 assenti e in quelli di Forza Italia 14. Non è dissenso, è disinteresse.  Walter Rizzetto, presidente Fdi in commissione, chiede il rinvio. La ragione, spiega, è che dopo il parere espresso dal Cnel –  che è un no al salario minimo legale –  servono «ulteriori approfondimenti». Ulteriori, dopo mesi di audizioni. Le opposizioni per una volta sono compatte sul no. Anche Iv, che non ha firmato il testo comune, poi votato come i colleghi di minoranza. Parlano i segretari di partito, segno evidente che sulla battaglia si investi il massimo. Attacca Elly Schlein, la leader Pd: «È la cronaca di una fuga annunciata», il nuovo rinvio è «un colpo ai 3 milioni e mezzo ai lavoratori poveri e poverissimi», «per la presidente Meloni, un modo per buttare la palla in tribuna», «La vostra scelta è pavidae cinica, abbiate il coraggio di fare un dibattito in aula e, se siete contrari, di votare contro». «Torniamo in commissione, ma a fare che?», chiede Matteo Richetti, capogruppo di Azione e Italia viva. Se l’intenzione della maggioranza è raccogliere la proposta del Cnel, che in sostanza sostiene che la questione dei salari bassi si risolve nella contrattazione collettiva fra parti sociali «vi do una notizia, la contrattazione c’è già». In realtà la destra non ha deciso ancora che pesci pigliare: anche la proposta del presidente del Cnel, Renato Brunetta, non è a costo zero. «Meglio dire la verità: non avete un’idea», secondo Nicola Fratoianni (Alleanza rossoverde). «Giorgia Meloni è stata votata per decidere non per nascondersi dietro il Cnel di Brunetta, di cui avete riscoperto l’essenzialità», dice il presidente M5s Giuseppe Conte, «Il vostro obiettivo è rispedire la nostra proposta per farla morire lì».

Anche perché, aggiunge Riccardo Magi di Più Europa, la riscoperta del Cnel per la destra è una novità assoluta: «Quante volte il Cnel ha espresso pareri che voi non avete accolto? Perché non trasformate le proposte in emendamenti?». Per le opposizioni la risposta è chiara: la destra non vuole il salario minimo, ma non può permettersi di votare no davanti ai lavoratori. In serata Arturo Scotto (Pd) provocherà: «D’ora in poi ci toccherà chiedere al Cnel il parere preventivo su tutti i provvedimenti economici e sociali. Almeno ci sarà qualcuno in grado di decidere un orientamento politico di fronte alla fuga della destra».

Il ritorno di Brunetta

La destra in aula para i colpi come può: la Lega manda avanti un parlamentare non precisamente di prima fila, Virginio Caparvi, che deve soprassedere sul fatto che nel 2020 Salvini era favorevole al salario minimo. Forza Italia spiega che tanti rinvii servono perché «il tema è complesso». Maurizio Lupi (Noi moderati) sfoggia una maggiore esperienza: accusa, non senza ragioni, Pd e M5s di non aver approvato il provvedimento quanto erano loro a governare. Questione che ispira Tommaso Foti, capogruppo Fdi, che tira fuori un precedente imbarazzante: «Nel 2014 il M5s ha presentato una proposta di legge, e sapete qual era? 9 euro. È uno sbaglio o una presa in giro il fatto che quella di oggi la stessa cifra?». Ma anche Fdi ha i suoi scheletri nell’armadio: una proposta di legge firmata proprio da Rizzetto, anno 2019, chiedeva l’«istituzione del salario minimo orario nazionale».

La giornata finisce in commissione lavoro: le minoranze chiedono la calendarizzazione immediata della discussione, non la ottengono e allora i lasciano i lavori. Più tardi dalle carte dell’ufficio presidenza si capisce come la maggioranza in commissione comprerà altro tempo: la prossima settimana sarà incardinata la discussione, ma in pratica si ricomincia da capo. Ci saranno nuove audizioni, sarà convocato anche Brunetta. Le opposizioni già preparano i fuochi d’artificio. 

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