Ora è ufficiale, la Corte penale internazionale ha aperto un fascicolo contro l’Italia. La notizia è stata comunicata dal portavoce, che ha affermato che «La questione della mancata osservanza da parte dell'Italia di una richiesta di cooperazione per l'arresto e consegna di Almasri da parte della Corte è di competenza della camera competente, vale a dire la Camera preliminare I» e che «come parte di questa procedura, ai sensi del Regolamento 109(3) del Regolamento della Corte, l'Italia avrà l'opportunità di presentare osservazioni. Finché la Camera preliminare I non avrà esaminato la questione e reso una decisione, la Corte non offrirà ulteriori commenti».

Si tratta di una procedura di fatto quasi automatica, come l’ex presidente della Cpi Cuno Tarfusser aveva spiegato a Domani, e si tratta di un processo per chiarire le responsabilità dello stato membro, ma non responsabilità individuali di persone fisiche.

La procedura

Si tratta di una procedura prevista dallo Statuto di Roma all’articolo 87. «Quando lo Stato non adempie alla richiesta di cooperazione della Corte, non rispettando le previsioni dello Statuto e quindi impedendo alla corte di esercitare le sue funzioni e i suoi poteri, la Corte può aprire una indagine e riportare la questione all’Assemblea degli stati membri oppure al Consiglio di sicurezza», si legge al comma 7.

Si tratta di un procedimento di natura amministrativa, per cui la Corte instaura un contenzioso con lo stato che non ha ottemperato alla richiesta, chiedendo prima di tutto giustificazione delle ragioni. Nel caso in cui queste non soddisfino, si apre la fase di accertamento della violazione dello Statuto.

Nel caso specifico di Almasri, la questione verrebbe inviata non solo all’Assemblea degli stati membri ma anche al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che con una sua risoluzione aveva attivato la Cpi sulla situazione in Libia.

Le reazioni

Dentro la governo, si sono spenti i fuochi delle informative del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e soprattutto del guardasigilli Carlo Nordio, che ha accusato la Cpi di avergli inviato un atto «viziato all’origine» e quindi «nullo», provocando - a quanto risulta da fonti interne – la sommessa irritazione dei suoi membri. Ora la linea concordata tra palazzo Chigi e via Arenula è quello di una «appiasement», una riappacificazione, come viene definita. Da fonti governative, infatti, viene fatto sapere che «il ministero della Giustizia ha chiesto all’Aja di avviare consultazioni funzionali ad una comune riflessione sulle criticità che hanno connotato il caso Almasri al fine di scongiurare il ripetersi di situazioni analoghe».

Toni decisamente meno belligeranti di quelli ascoltati nelle aule parlamentari da parte di Nordio, insomma. Da quella richiesta di «comune riflessione» ma anche da fonti ministeriali, emerge ridimensionata la posizione di attribuire ogni colpa ad asseriti errori della Corte. «Qualcosa si è sbagliato da entrambe le parti», è la riflessione interna, e il tentativo è quello ora di avviare una interlocuzione dai toni più pacati, così da evitare che la situazione degeneri ulteriormente e da chiudere il dossier quanto prima.

Chi ha incontrato il ministro, che ieri era a Trieste per commemorare il giorno del Ricordo al sacrario di Basovizza, lo ha definito molto tranquillo rispetto alla questione. Una reazione di maniera forse, ma anche un modo per non alimentare ulteriori polemiche condividendo la linea asciutta che la Corte ha utilizzato per dare la notizia del procedimento aperto. Ora, però, l’interrogativo a cui il ministero della Giustizia dovrà rispondere è come intenderà giustificare la scelta di non dare seguito alla richiesta della Cpi e difficilmente potrà reggere la motivazione data alle Camere della nullità dell’atto (che avrebbe potuto ben essere sollevata dal difensore di Almasri, ma non dal ministro della Giustizia).

Intanto, però, le opposizioni hanno sottolineato il dato politico più evidente: «La legge italiana è molto chiara a riguardo: l'obbligo di cooperare con la CPI non è discrezionale», ha detto il deputato Pd, Andrea Casu, dunque «l'apertura del fascicolo da parte della Cpi conferma che l'Italia ha violato il diritto internazionale» e le parole di Nordio alla Camera sono apparse «più come una difesa d'ufficio di un torturatore che come l'azione di un rappresentante di un Paese fondatore della Corte Penale Internazionale».

Il verde Angelo Bonelli ha aggiunto che «il governo Meloni ha cercato di delegittimare la Corte con attacchi violenti e volgari, schierandosi di fatto dalla parte dei carnefici e non delle vittime». Questo, infatti, rimane il punto: come cambieranno i toni e gli argomenti che il ministero utilizzerà nelle consultazioni chieste alla corte dell’Aja, visto che l’obiettivo ora è quello di una riappacificazione.

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