Solo a parlare di Europa, il governo va in crisi di nervi. Forza Italia con Antonio Tajani corre da una parte, pronunciando un secco «no» all’alleanza con Marine Le Pen, prospettata da Matteo Salvini, una sorta di campo largo della destra in Europa. Così il leader leghista, a sua volta, fa lanciare strali dai suoi fedelissimi a Fi, accusandola di occhieggiare con i socialisti: «Vuole andare con Macron?», domandano infastiditi. La premier Giorgia Meloni, per ora, balla da sola, in un esercizio di equilibrismo in stile doroteo: vuole conservare, almeno fino al 2024, il rapporto con gli amici di sempre, i polacchi del Pis in testa, e conquistare la benevolenza dei Popolari europei. Un cambio di passo necessario a toglierle l’etichetta nera di postfascista, che le rovina la postura internazionale.

La presidente del Consiglio conta di spedire in orbita Fratelli d’Italia, facendolo diventare il vettore delle politiche per rompere «l’alleanza innaturale con i socialisti europei», come ha scandito. E si candida a essere la madrina di una nuova politica in Ue, marginalizzando gli alleati di governo in Italia, e rafforzando il prestigio a Bruxelles, pur negando che ci siano delle «trattative in corso». A Palazzo Chigi sono abbastanza stufi della guerriglia quotidiana, sognano una corsa in solitaria. La premier descrive allora lo scenario come una «fase stimolante per i conservatori».

Alleati cannibali

Questa volta a guastare gli umori governativi, a creare solchi e divisioni. non ci sono i grandi temi europei: il Mes, il dossier migranti o la riforma del Patto stabilità. I leader di partito battibeccano sulle future alleanze, su cosa fare da grandi, quindi con chi reggere le sorti politiche dell’Europa per un quinquennio importante. Si possono riscrivere i rapporti geopolitici.

Le ultime ore sono appena un teaser di quello che accadrà nei prossimi mesi, perché il voto del prossimo giugno è lontano quasi un anno. Eppure già manda in fibrillazione i partiti del governo. «Assisteremo a una cannibalizzazione tra le forze della maggioranza che confermerà come la loro unità sia di cartapesta», pronostica il capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia.

Il clima è quello tipico pre-elettorale. Ne è testimonianza la svolta del coordinatore di Forza Italia Tajani: ha accantonato i toni pacati, tirando fuori gli artigli per seppellire qualsiasi ipotesi di alleanza con l’estrema destra del Rassemblement national di Marine Le Pen o peggio ancora i tedeschi dell’Afd, la sigla dell’Alternative für Deutschland. «Voglio essere molto chiaro, sono anche vicepresidente del Ppe: per noi è impossibile qualsiasi accordo con Afd e con il partito della signora Le Pen», ha detto il numero uno della Farnesina, che sa di godere di un certo prestigio dalle parti di Bruxelles. Ed è uno dei capisaldi dell’ambizione di essere il leader dopo la morte di Silvio Berlusconi. Una chiusura totale che è soprattutto un messaggio a Salvini. Le dichiarazioni sono cadute a poche ore dall’incontro tra il leader leghista e Le Pen. Poi l’appuntamento è stato rinviato, secondo le motivazioni ufficiali, per le tensioni sociali in Francia. Si recupererà, dicono fonti vicine ai due. 

Botta e risposta 

Resta il fatto che Salvini ha subito con fastidio la sortita di Tajani. Aveva lanciato, in un’intervista al Corriere della Sera, l’idea di «una maggioranza popolari conservatori e liberali», un patto «contro le sinistre». Il vicepremier ha cercato un primo varco nel cordone sanitario intorno alle forze del suo gruppo politico in Europa. Ma è stato respinto con veemenza proprio dai vicini di cortile. Certo, la bocciatura forzista non ha rappresentato una sorpresa, ma hanno colpito le modalità ruvide.

L’obiettivo degli eredi politici di Berlusconi resta quello di rafforzare il Ppe, non di facilitare la crescita di altre forze politiche del centrodestra. Tajani aveva già mandato in avanscoperta un uomo di frontiera, il senatore Maurizio Gasparri: «Forza Italia è favorevole a tutte le alleanze di forze politiche alternative alle sinistre», ma devono «ovviamente rispondere ai principi fondamentali della democrazia e dell’europeismo». Un velato niet all’intesa con i partiti dichiaratamente nazionalisti, come Afd e lepenisti. Il ministro degli Esteri ci ha dormito su una notte e ha deciso di intervenire in prima persona per mettere il sigillo. Sfidando la puntuta controreplica.

«Non è il momento dei diktat, né di decidere a priori chi escludere dal progetto di centrodestra europeo», hanno messo nero su bianco in una nota gli europarlamentari della Lega Marco Zanni, capogruppo Id, e Marco Campomenosi, capodelegazione Lega al parlamento europeo. Con tanto di accusa di inciucio: «Davvero l’amico Tajani preferisce continuare a governare con Pd, socialisti e Macron?».
Il corpo a corpo tra alleati non spiace affatto a Meloni. Vede indeboliti i compagni di viaggio nel governo, mentre può continuare a giocare una partita tutta personale. Lo scopo? Mettere i suoi FdI al centro della negoziazione tra conservatori e popolare. Un sogno, che deve fare i conti con gli alleati.

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