«Ricomincia il circo», sospira un parlamentare. A palazzo Chigi non hanno ancora trovato la quadra per la scelta del prossimo amministratore delegato della Rai, ma – nonostante l'appuntamento sia solo per giugno – nei corridoi di viale Mazzini (e nelle sedi di partito) si inizia a ragionare sulla composizione del prossimo consiglio d’amministrazione Rai.

Sembra un argomento puramente tecnico, un esercizio da manuale Cencelli. In realtà, i partiti in cda non seguono sempre le logiche parlamentari: una circostanza che può dare vita ad alleanze inedite, come ha dimostrato per mesi la scelta fatta da destra egrillini di non aggredirsi vicendevolmente. Il nuovo consiglio dovrebbe insediarsi a luglio, dopo le europee, punto di snodo per molte decisioni nelle partecipate, inclusa quella di chi mandare in cda.

Dunque difficile che l’avvicendamento pianificato dal governo tra Roberto Sergio e Giampaolo Rossi sulla poltrona di ad avvenga già a maggio, come riportavano varie indiscrezioni nei giorni scorsi: i tempi sarebbero strettissimi, visto che già con la timeline originaria – cioè con il rinnovo a giugno – chi ambisce all’incarico di consigliere deve presentare le proprie credenziali al parlamento già a fine aprile.

La scelta dei nuovi consiglieri si intreccia con la sfida sotterranea tra ad e dg attuali: «Che Sergio stia giocando la propria partita per rimanere in sella non è più un segreto» dice una fonte che conosce bene viale Mazzini.

Tra i due litiganti, poi, un terzo potrebbe godere. Palazzo Chigi sembrerebbe infatti non gradire il clima di tensione che si sta creando intorno ai due dioscuri del cavallo morente e potrebbe anche decidere di spiazzare tutti spingendo un nome diverso.

Ma l’esito della nomina della poltrona più importante in Rai condiziona l’assegnazione di tutte le altre. Ovviamente Rossi è in quota Fratelli d’Italia, ma se dovesse spuntarla Sergio, in che casella verrebbe collocato? Fosse quella della Lega, che comunque non sarebbe ostile all’idea, sarebbe una grossa pregiudiziale sulle eventuali ulteriori grandi ambizioni del Carroccio.

Scontro sulla presidenza

Per tornare a contare, i leghisti hanno messo gli occhi anche sulla poltrona della presidenza, che nei disegni della maggioranza in realtà sarebbe già assegnata all’area azzurra. Molti segnalano l’attivismo della consigliera uscente Simona Agnes, che sta cercando il sostegno necessario alla sua elezione anche fuori dai confini di Forza Italia, per esempio presso il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano.

Anche con Rossi i rapporti sarebbero buoni, e c’è una certa sicurezza del fatto che anche nel caso in cui FI non dovesse spuntare la presidenza la prossima consigliera in quota azzurra sia sempre lei. Ma per l’elezione a presidente serve il consenso dei due terzi della commissione Vigilanza e ogni partito sta facendo strategia per sé, compresi quelli che non hanno i numeri per mandare in consiglio un nome proprio, come Avs, Italia viva, Azione e Noi moderati.

La strategia è essenziale, altrimenti si rischia il destino di Rossi, escluso dal cda nel 2021 a causa dell’intransigenza di Giorgia Meloni nelle trattative con FI e Lega. Intanto, alla presidenza guarda anche il Pd, che fa appello alla vecchia prassi per cui la presidenza viene assegnata alle opposizioni così come la guida della commissione Vigilanza, oggi in mano al M5s.

Al Nazareno notano come sarebbe opportuno che ci fosse un confronto dopo che la destra ha fatto man bassa di ogni poltrona nei mesi scorsi. Si tratta però di una regola che non è più stata applicata da quando è in vigore la riforma della governance firmata dal governo Renzi: per spuntarla, il Pd dovrebbe raccogliere anche la benevolenza della destra, ma per il momento non è assolutamente scontato che Lega e FI siano disposti a farsi da parte.

Nel dubbio, il nome che viene valutato e che viene considerato accettabile anche a destra sarebbe quello di Antonio Di Bella, ex direttore di Rainews. Dall’area meloniana indicano come discrimine della decisione sulla presidenza contesa tra leghisti e azzurri anche il risultato dei due partner di maggioranza al voto europeo: «Se la Lega dovesse prendere più di Forza Italia non è chiaro perché debbano avere la certezza di una poltrona così importante» osservano con una certa malizia.

Ambizioni

Fratelli d’Italia può invece contare già su un ottimo risultato e, in attesa che si sbrogli la questione del futuro di Rossi, un altro nome circola con insistenza per la poltrona di consigliere d’area: quello di Guido Paglia, attualmente direttore del sito Sassate, ma anche cofondatore di Avanguardia Nazionale insieme a Stefano Delle Chiaie.

I leghisti non stanno a guardare. L’ambizione di mettere le mani sulla poltrona del presidente – il cui voto tra altro vale doppio nelle decisioni del consiglio – non cozza con i ragionamenti sui nomi che possano essere anche consiglieri, anche perché l’uscente Igor Di Biasio ha già le mani occupate con la presidenza di Terna. Girano parecchie ipotesi, si parla di Dario Galli, già sottosegretario e membro della commissione Vigilanza, di Stefano Bolognini, capo della segreteria del ministro Giuseppe Valditara.

Girano anche i nomi di di Giovanna Bianchi Clerici, che per altro è già stata consigliera, o di Alessandro Casarin, direttore della Tgr alle soglie della pensione, o ancora di Angela Mariella, attualmente direttrice delle relazioni istituzionali e giornalista di fedeltà comprovata.

Anche il consigliere in quota dipendenti è da rinnovare, ma c’è poca aspettativa che possa essere una voce critica come si rivelò a suo tempo Riccardo Laganà, scomparso prematuramente la scorsa estate. Tanto più diventano rilevanti le scelte delle opposizioni, entrambe ancora lontane da una scelta definitiva: per il Pd circolano, oltre a quello della consigliera uscente Francesca Bria, i nomi di Roberto Natale, già portavoce di Laura Boldrini quando era presidente della Camera, e di Sandro Ruotolo, responsabile editoria dei dem.

Il M5s sarebbe contento di riconfermare l’avvocato Alessandro Di Majo, ma ci sarebbero riflessioni in corso anche sui curriculum di Claudia Mazzola – attualmente presidente di Rai Com, ma già candidata al cda in passato ma scartata dal voto sulla piattaforma Rousseau – e Fabrizio Salini, che dal Movimento era stato scelto come ad.

Tutto è ancora in alto mare, l’unica certezza è che dopo Sanremo si inizia a ballare.

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