I partiti sono essenziali alla democrazia. Associazioni volontarie che uniscono intorno a problemi e scopi e quindi dividono: grazie a loro, il principio di maggioranza stabilizza la società nella libertà che ciascuno ha di esprimere e cambiare preferenze e governi, senza timore di rappresaglie. Organizzando i cittadini, i partiti non solo selezionano il personale politico ma inoltre uniscono nella responsabilità militanti e dirigenti intorno alla leadership.

Certo, la decisione porta la faccia del leader; ma il leader solitario non è quel che serve al partito. La leadership personale si adatta al partito-azienda, un prodotto creato e mantenuto dal suo proprietario, o al partito populista che nasce (e perisce) insieme alle ambizioni del suo leader. Non si adatta al partito come collettivo di idee e progetti, che persiste oltre i suoi leader e le tornate elettorali, e nella sua storia raccoglie la propria identità.

Il partito che rientra in questo paradigma è il Pd. Dopo il declino dell’era renziana, è giunto il settembre scorso davanti ad un bivio, ed Elly Schlein è stata eletta con la promessa di scegliere la strada giusta. L’impegno della leader è ammirevole. Ma manca un punto di forza: una direzione collegiale che renda il gruppo dirigente corresponsabile delle scelte, anche quelle contingenti come l’adesione alla manifestazione contro la precarietà promossa sabato scorso dal Movimento 5 stelle.

Condivisione significa incremento di responsabilità e quindi di potere. Che essa manchi lo si è visto dalla bufera in un bicchier d’acqua provocata dalle parole con cui Beppe Grillo ha invitato i cittadini a fare servizio sociale: l’attore Grillo ha recitato bene la sua parte, con parole politicamente infelici.

A rimetterci è stata solo Schlein, che ha subito una sassaiola sproporzionata al fatto, con esiti internamente divisivi. Tutto fa buon gioco alla maggioranza che si sta creando un’opposizione funzionale, alla quale il Pd non appartiene. Il Pd è il solo agente di disturbo e a giudicare dal fuoco incrociato, gli amici di ieri e i nemici di sempre sono bramosi di mettere mano al suo bacino elettorale.

Lo si vede dall’abuso governativo dell’alluvione in Romagna. Su questa terra si sta consumando una vergognosa strategia volta ad aiutare i comuni governati dalla destra e a scaricare gli altri. Il piano è banale – convincere i riottosi cittadini di sinistra a cambiare cavallo se vogliono ottenere soldi pubblici. L’uso fazioso e privatistico dello stato ci è spiattellato dall’ex-missino Galeazzo Bignami con dichiarazioni indegne del ruolo di sottosegretario che ricopre.

Ma a che serve indignarsi? La patria della destra è per la destra. Alle rimostranze istituzionali servirebbe unire una mobilitazione democratica delle popolazioni della Romagna che racconti alla nazione il piano che si sta consumando sulla loro pelle.

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