Il 90 per cento degli appalti affidati in via diretta e lo stop al via libera alla direttiva europea Anticorruzione: due carenze che limitano fortemente «la piena trasparenza», ha detto il presidente dell’Anac, Giuseppe Busìa, che ha presentato la relazione annuale dell’autorità anticorruzione. L’Italia, infatti, registra ancora dati poco incoraggianti sulla corruzione, che «ha un costo civile prima ancora che economico, perchè inquina la democrazia. Bisogna prevenirla, prima ancora che reprimerla». Dal rapporto 2023 della procura europea, infatti, l’Italia presenta ancora «il valore più alto in termini di danni finanziari al bilancio Ue», stimati su frodi e malversazioni.

Le sue parole hanno un riverbero sull’inchiesta per corruzione in corso in Liguria, che ha al centro l’ipotesi di corruzione elettorale e scambi di favore, in un presunto contesto di illegalità che riguarda anche l’affidamento di appalti.

«Nonostante i solleciti, nel nostro Paese manca ancora una disciplina organica sulle lobby, che si ponga l’obiettivo di garantire piena trasparenza sull’attività dei portatori di interesse», ha detto Busia. Altro focus è stato il blocco in commissione Affari europei della direttiva Ue che aggiorna la legislazione anticorruzione prevedendo l’obbligatorietà negli ordinamenti dei paesi europei dei reati di abuso d’ufficio, corruzione nel settore privato e arricchimento illecito. A premere il freno l’anno scorso è stata la maggioranza, sostenendo che la direttiva non avrebbe tenuto conto del comparto normativo di contrasto alla corruzione già presente in Italia e che Bruxelles avrebbe travalicato il limite della sussidiarietà. Nel frattempo, però, il governo ha portato in parlamento e manca solo il sì del Senato al ddl Nordio che abroga il reato di abuso d’ufficio e modifica quello di traffico di influenze illecite. Ora Busia, che già lo aveva ripetuto in altre sedi, ha ribadito che la direttiva è necessaria: «Auspichiamo che il Governo ne sostenga l’approvazione, così da poter disporre quanto prima di uno strumento normativo tanto essenziale per assicurare in Europa una crescita ispirata ai suoi valori fondativi».

L’ombra dell’inchiesta ligure è tornata più volte nelle parole di Busia. Nella relazione, infatti, il presidente ha ricordato in particolare un appalto finito sotto la lente dell’anticorruzione: quello della diga foranea di Genova.

Lo stop alla diga

L’appalto vale 1,3 miliardi di euro, ed è finito al centro di alcune intercettazioni tra il governatore Giovanni Toti, agli arresti domiciliari, e il Paolo Signorini, il commissario del porto finito in carcere nell’ambito dell’inchiesta. La procura di Genova, infatti, sta indagando anche su uno degli appalti per la costruzione della nuova diga, che è anche uno dei progetti strategici finanziati con il fondo complementare nazionale e con i soldi del Pnrr. L’appalto era stato affidato al consorzio con capofila Webuild senza una corretta procedura di gara, e il Tar lo aveva riconosciuto illegittimo perché la società era priva dei requisiti. Con il risultato che, se il primo grado sarà confermato in Consiglio di Stato, sarà necessario risarcire la società concorrente, con il rischio di un importante aumento dei costi.

Secondo i rilievi di Anac, la diga è stata inserita nel decreto Genova per la ricostruzione del ponte Morandi usufruendo delle relative deroghe al nuovo codice dei contratti pubblici del 2023 senza averne titolo, inoltre il Commissario straordinario per la diga ha assegnato l’appalto eseguendo le richieste del concorrente riguardo alla revisione dei prezzi, le varianti per incerto geologico, le modalità di contabilizzazione del corrispettivo.

Con un effetto: se si presenteranno costi aggiuntivi, saranno a carico dello Stato. Il nuovo codice, richiesto dalla commissione europea, ha infatti «paradossalmente» prodotto «un ripetuto ricorso a deroghe e a discipline parallele, spesso legate alla nomina di commissari, contrariamente alla evidente necessità di consolidare le nuove regole».

Busia ha portato proprio la diga come esempio degli effetti negativi di queste pratiche da poco introdotte che, «oltre a limitare il grado di controllabilità delle procedure, se non adeguatamente presidiate rischiano di provocare significativi aumenti dei costi dei contratti», come le disposizioni che, «in caso di annullamento degli affidamenti finanziati dal Pnrr, non prevedono la caducazione del contratto affidato illegittimamente, ma riconoscono il diritto al risarcimento agli operatori pretermessi, col risultato che la stazione appaltante finisce per dover remunerare entrambi». Proprio come nel caso della diga e anche del ponte sullo Stretto.

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