Il progetto del ponte sullo Stretto porta troppi vantaggi ai privati e non li vincola, invece il paese deve rispettare i freni europei anche di spesa e si rischiano futuri contenziosi. Questa, in sintesi, è la posizione di Anac, l’autorità nazionale anticorruzione, che nella sua relazione annuale ha fatto emergere rilievi anche sulla rinegoziazione del Pnrr, l’eccessivo utilizzo di deroghe e i rischi legati alle soglie molto alte per gli affidamenti senza gara nel nuovo codice degli appalti.

La parte più dura del suo intervento, però, il presidente Giovanni Busia lo ha riservato al decreto ponte sullo Stretto, diventato ormai il totem del ministero dei Trasporti e pallino del ministro Matteo Salvini, che ha scelto come missione personale la costruzione del ponte tra Calabria e Sicilia. Lo stesso che fu la chimera dei vari governi Berlusconi: l’opera impossibile che ogni tanto veniva rispolverata per distrarre l’attenzione.

«Rileviamo uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata a danno del pubblico, sul quale finisce per essere trasferita la maggior parte dei rischi», ha detto Busia. Il recente decreto legge, che si basa su un progetto elaborato nel 2011, ha riavviato l’iter di realizzazione del ponte ma il governo non ha tenuto in considerazione nessuno dei rilievi mossi nei mesi scorsi da Anac, che aveva proposto alcuni interventi emendativi per rafforzare le garanzie per lo Stato. 

Tre in particolare gli elementi problematici: il fatto che il ponte si riveli un grande favore ai privati, i rischi connessi ai vincoli europei e un contratto con clausole poco tutelanti. Pur di procedere rapidamente, infatti, non è stata bandita una nuova gara pubblica, quindi è stato riconosciuto valido il progetto di dodici anni fa «senza aver risolto il contenzioso precedente», concedendo in questo modo vantaggi sia giuridici che economici al soggetto privato, con il rischio che i rischi connessi all’opera ricadano in capo allo Stato.

La direttiva europea, infatti, impone un limite invalicabile come condizione per non rifare la gara: che l’aumento dei costi non superi il 50 per cento. Prospettiva difficile da rispettare, almeno esaminando il dato storico: basti pensare che il progetto del 2002 prevedeva una spesa di 4,3 miliardi, che in quello del 2011 sono saliti a 8. Inoltre il decreto assegna al privato un notevole potere contrattuale, secondo Busia: il decreto prevede che sia il privato e non il ministero a poter determinare, con una semplice relazione, le modifiche al ponte «stabilendo quindi i costi», che non saranno controllabili dallo Stato, il quale però dovrà gestirne le conseguenze. In altre parole, la scorciatoia trovata dal governo per permettere a Salvini di annunciare l’apertura del cantiere «nel 2024 e in 7-8 anni il transito del primo treno» rischia di diventare un salasso oltre che un rischio rispetto ai vincoli europei.

la strategia comunicativa

Rilievi precisi e circoscritti, quelli di Anac, a cui il governo si è preso mezza giornata per rispondere. Nessuna richiesta di dimissioni di Busia, come Salvini aveva fatto solo qualche mese fa dopo le critiche al codice degli Appalti, solo una nota formale del Mit in cui le preoccupazioni di Anac vengono definite «totalmente infondate».

Il ministero, infatti, ha fatto notare che «verrà nominato un responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza» e che la tutela dei fondi pubblici è salvaguardata dal nuovo codice degli Appalti, che prevede «precise responsabilità e sanzioni». Inoltre, ha ricordato che il contratto ripristinato nel decreto era «frutto di una gara» e che tra gli oneri del contraente sono previsti «dai vincoli della normativa euro-unitaria sui contratti pubblici». 
Nulla da temere quindi secondo il ministero, che però sceglie la linea della formalità e non ingaggia scontri diretti. Nessun tweet o battuta di Salvini, nessun intervento da altri nomi del centrodestra. Parola d’ordine, tirare dritto senza innescare polemiche. La nuova rotta si spiegherebbe con lo scontro con la Corte dei conti: il muro contro muro, tra sgarbi istituzionali e polemiche, non ha fatto bene all’immagine dell’esecutivo: come ha certificato Alessandra Ghisleri sulla Stampa, il risultato è stato un calo di consensi di mezzo punto sia per Fratelli d’Italia e una diminuzione degli indici di fiducia del governo. Meglio allora abbassare i toni: il 2024 è vicino e Salvini ha investito troppo nel progetto ponte per rallentare ora, anche col rischio di far esplodere i costi.

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