Derussificare, deucrainizzare, denazificare e ora anche decolonizzare. Il vocabolario del conflitto tra Russia e Ucraina si nutre di verbi preceduti dal prefisso latino “de”,  come a ricordare che è una guerra che divide, che separa per sempre, forse, due paesi e due popoli che si trascineranno dietro per chissà quanto tempo gli strascichi dell’odio.

Oggi nel centro di Kiev, è stato abbattuto un imponente monumento costruito 40 anni fa: raffigurava un lavoratore ucraino e uno russo che, in segno di amicizia, sorreggevano la stella dell'Ordine sovietico dell'amicizia dei popoli.

E oggi è nata la campagna di decolonizzazione e cancellazione culturale della Russia promossa dal famoso artista Pavlo Makov, nato in Russia ma con cittadinanza ucraina, scappato da Kharkiv a marzo con la sua famiglia e la madre anziana.

Quattro giorni fa ha inaugurato la Biennale di Venezia e proprio Pakov, nel presentare la sua opera presente nel padiglione ucraino, aveva dichiarato: «Dobbiamo fare il meglio per rappresentare la cultura, la dignità e la storia dell’Ucraina. L'arte, la musica, sono stati strumenti di potere per la Russia».

Dichiarazione propedeutica al suo progetto ora rivelato: cancellare la Russia. Un progetto spiegato in un sito tradotto in italiano, francese e tedesco da lui lanciato che si chiama proprio “cancelrussia.info”.

Silenziare la cultura

Si apre con l’appello “Aiutaci a combattere l'Impero Russo e ad annullare la sua cultura coloniale”. Seguono poi alcune indicazioni per contribuire alla cancellazione culturale del paese invasore: «Trattieni qualsiasi finanziamento, supporto o, persino, l’attenzione che una volta hai fornito ad artisti, scrittori o musicisti russi. Non dovrebbe esserci spazio per le loro mostre, pubblicazioni o concerti. Non si dovrebbero menzionare sulla stampa fintanto che i soldati russi staranno cancellando la nostra eredità culturale, rimuovendo i libri ucraini e costringendo i bambini ucraini a imparare la lingua e la letteratura russa nelle scuole delle città ucraine occupate. La cultura russa oggi non è altro che il risultato di un furto a lungo termine di culture soggiogate da parte dello stato. La decolonizzazione della Russia è impossibile senza la completa cancellazione della sua cultura. Non collaborare con nessuna istituzione di questo stato terrorista, anche se rivendica la sua opposizione al regime di Putin».

E anche: «È di primaria importanza riconsiderare la retorica che permeava l'Impero russo, l'Urss e vive oggi nella Federazione Russa. L'eredità di queste nazioni non appartiene solo ai russi, ma a tutti i popoli che sono stati forzatamente inglobati in queste identità sovranazionali. Nascere in Urss, lavorare nell'Impero Russo: nessuna di queste cose ti rende automaticamente "russo". I musei e le istituzioni educative e/o scientifiche devono diventare uno spazio per ripensare l'imperialismo russo».

Segue una raccolta di dichiarazioni di influencer ucraini sull’importanza della decolonizzazione e della cancellazione culturale della Russia, con un link – tra gli altri - che rimanda proprio al sito del governo ucraino. E anche qui, in un appello simile firmato da artisti ucraini e dal ministro della cultura ucraino Oleksandr Tkachenko, si ribadiscono gli stessi concetti, ma più nel dettaglio: non invitare russi a festival quali Cannes, Venezia, Verona, Avignone. Idem vale per le fiere di libri, per i teatri e per qualsiasi evento culturale. “Smetti di occuparti della cultura russa nei media”, si dice nel sito del governo ucraino. «La Federazione Russa è uno stato canaglia. La cultura russa, se usata come propaganda, è tossica! Non essere complice!».

Sul sito cancelrussia.info c’è anche una raccolta fondi per sostenere gli artisti ucraini il cui slogan è: «Sposta la tua attenzione sulla cultura ucraina!», con il successivo invito: «Dai tutta quell'attenzione, fondi e

sostegno alla cultura dell’Ucraina, una nazione europea veramente libera! È così che si impedisce la diffusione dell'imperialismo moderno e della disgustosa oppressione colonialista!».

Si può donare tramite bitcoin oppure fare bonifici su un conto tedesco, uno americano e un altro inglese. Come per la campagna promossa dal governo ucraino «Sii coraggioso come l’Ucraina» per trasformare il coraggio ucraino in un vero e proprio brand (come spiegato dallo stesso presidente ucraino Volodomyr Zelensky), sul sito cancelrussia.info è possibile scaricare del materiale da stampare per poster, manifesti, adesivi, locandine tradotto in italiano, inglese, tedesco, olandese e francese (le traduzioni, per essere un’operazione culturale, sono molto zoppicanti, va detto).

Materiale con impresse le seguenti frasi:  «Tutta la "grande cultura russa" è sempre stata una fedele cantastorie del loro sanguinoso impero, e l'impero l’ha sempre usata per vantarsi della propria “grandezza. Non c’è cultura russa senza carri armati russi. E’ ora di cancellarli entrambi». O anche: «I russi dovrebbero vergognarsi di appartenere a quella nazione di coccodrilli, non esserne orgogliosi». «I loro libri, la loro arte, la loro musica, il balletto, tutta la loro "cultura" serve ad ottenere i loro scopi. Quindi respingi questa fascinazione: ogni piccolo Dostoevskij è seguito da una pioggia di missili. È ora di privarli del loro carburante».

Russofobia

A view of the installation "Fountain of Exhaustion" by artist Pavlo Makov at the Ukraine pavilion during the 59th Biennale of Arts exhibition in Venice, Italy, Tuesday, April 19, 2022. (AP Photo/Antonio Calanni) A view of the installation "Fountain of Exhaustion" by artist Pavlo Makov at the Ukraine pavilion during the 59th Biennale of Arts exhibition in Venice, Italy, Tuesday, April 19, 2022. (AP Photo/Antonio Calanni) A view of the installation “Fountain of Exhaustion” by artist Pavlo Makov at the Ukraine pavilion during the 59th Biennale of Arts exhibition in Venice, Italy, Tuesday, April 19, 2022. (AP Photo/Antonio Calanni)

Insomma, un messaggio chiaro: la cultura russa deve sparire. E tramite un appello che suona piuttosto contraddittorio, visto che sul sito in questione da una parte si lancia un salvagente agli artisti che ripudieranno pubblicamente la Russia, ma dall’altra si cita Dostoevskij che di sicuro non può più scrivere un tweet in cui si dissocia da Putin. Con buona pace di Paolo Nori, lo scrittore italiano a cui era stato cancellato un corso universitario su Dostoevskij .

Insomma, la propaganda russa e chi parla di russofobia dilagante, ora hanno un buon argomento per lamentarsi:  non è più solo una guerra tra invasi e invasori, è una guerra culturale in cui il nemico non va solo sconfitto. Va cancellato.

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