«Non mi sento per niente accerchiata, sono circondata da molta gente». La segretaria Elly Schlein evita accuratamente di dare risposte alle domande sui malumori interni del suo Pd. Anche se non le sfuggono le insofferenze sul suo stile di conduzione del partito. Né ha potuto fare a meno di leggere sui giornali l’ampio dissenso ormai aperto sull’ipotesi della sua pluricandidatura alle europee.

In realtà le correnti interne al Pd hanno segnato un punto quando l’hanno costretta a rispondere agli attacchi di Giuseppe Conte, per una volta, e per una volta unite. Ma, alla notizia di una riunione della minoranza bonacciniana pubblicata dal sito di Repubblica, dalla stretta cerchia di Elly Schlein è filtrato solo un cortese disinteresse. Che suonava così: «La segretaria non si interessa delle correnti». Sicuri? «Non è che se ne disinteressa, è che si interessa di altro, di andare nei luoghi di lavoro, quelli dove ci sono le persone in carne e ossa».

A dimostrazione di questo, viene spiegato, basta guardare l’agenda di domenica: c’è la trasferta in Abruzzo, una delle regioni che va al voto. Dieci appuntamenti in un giorno. Proprio dieci: Castelli, Isola del Gran Sasso, Teramo, Bellante, Borsacchio, Roseto, Giulianova, Mosciano Sant’Angelo, dall’alba al tramonto. Mentre il gruppo dirigente accumula tensione in attesa di essere messo a conoscenza delle intenzioni europee della leader, lei è già in campagna elettorale. E, dunque, «non ha il tempo di occuparsi delle riunioni interne, del resto non è affezionata all’idea di un Pd autoreferenziale che parla solo a sé stesso, non le interessano i giochini della politica. Va a parlare con chi ha i problemi, con chi non ci vota. Stiamo facendo una grande battaglia sulla sanità, che è il problema concreto di molti italiani».

Leader vs correnti

Lo schema non è inedito, nel Pd. Da Walter Veltroni, il primo segretario, che predicava contro «l’arroccamento delle correnti», a Nicola Zingaretti, che se ne andò sbattendo la porta perché «nel Pd si parla solo di poltrone», a Enrico Letta, il suo predecessore, che appena eletto declamò in direzione: «Sto per diventare segretario, ho cercato di capire la geografia interna delle nostre correnti, e forse non l’ho ancora capita: se non l’ho capita io, fidatevi che c’è un problema».

Eppure uno dopo l’altro si sono fondati la propria corrente e poi comunque sono finiti affondati e costretti alla fuga, sia quelli eletti dalle primarie che quelli eletti dall’assemblea nazionale. Magari non dalle correnti ma dall’inabilità a governarle, ad avere il polso di un gruppo dirigente che, fino a un momento prima delle dimissioni, votava all’unanimità le decisioni della segreteria. Schlein è convinta di non appartenere a questa serie: «Io non me ne sarei andata», ha detto qualche giorno fa a chi le ricordava la tradizione cannibale dei suoi.

Chi prepara il dopo

In realtà la riunione di Energia popolare convocata da Stefano Bonaccini tre giorni fa a Roma, in formato ristretto (fra i pochi scelti c’erano Simona Bonafé e Lorenzo Guerini), aveva come oggetto formale l’organizzazione di due eventi sulla politica internazionale (medio oriente e Ucraina): ma il core business era la discussione sul formato della delegazione che andrà a trattare con la segretaria sulle liste, anche se l’appuntamento ancora non c’è. Saranno Stefano Bonaccini, Antonio Decaro e Pina Picierno.

La minoranza punta su nomi forti nel nord est – dove sarà candidato il presidente – e sul sud – dove invece correranno il sindaco di Bari e la vicepresidente dell’europarlamento. Insomma, se fin qui con il Nazareno in nome della minoranza parlava solo il presidente, nel delicato caso delle europee il confronto sarà un po’ più a ampio raggio. Energia popolare è oggi un po’ meno compatta intorno a Bonaccini – e Guerini, capofila dei riformisti prima delle primarie, parla poco e in genere per segnalare una differenza in più rispetto ai compagni d’area – ma da questo lato del partito sla fida interna resta la più insidiosa: Decaro punta a prendere una valanga di voti, e in caso di insuccesso del Pd alle europee, c’è chi lo considera in pole position per il congresso successivo. Fantasie, per ora, allegrie di naufragi, in attesa del 9 giugno. Nel caso in cui fosse un Big bang.

I cattolici di Graziano Delrio e i popolari di Pierluigi Castagnetti hanno dato fiato al dissenso aperto sul caso Bigon, la consigliera regionale veneta che con la sua astensione ha fatto saltare la legge sul fine vita proposta dal presidente Zaia e sostenuta da tutto il Pd (tranne lei, appunto). Invece dalla sua la segretaria ha ancora quelli che l’hanno sostenuta alle primarie, certo oggi con qualche dubbio in più dell’inizio: l’ala sinistra di Andrea Orlando e Peppe Provenzano, gli ex Art.1 di Roberto Speranza. E Areadem di Dario Franceschini, dalla quale arriva pure qualche malumore ma sostanzialmente un segnale: Schlein va sostenuta, almeno sino alla soglia del 21 per cento. Se alle europee il Pd finisce sotto quella, cambia tutto.

Fuori dalla maggioranza ma a puntello della segretaria c’è anche “Crea”, l’area degli ex lettiani ma soprattutto neoulivisti guidati da Marco Meloni e Anna Ascani, oggi impegnato pancia a terra sulle elezioni regionali sarde. Al congresso ha votato Bonaccini ma ora ha fondato una corrente per «unire il partito», per «evitare la presenza di due partiti in un partito». Nel frattempo però tutti restano in attesa del via libera per le liste delle europee. Ma con tanti dubbi su quest’attesa che si prolunga. E su una segretaria che assicura che «sta costruendo la squadra», ma da sola.

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