A destra lo scontro fra FdI e Lega si spinge a livelli di guardia, fino alla minaccia di una spaccatura al voto in commissione. A sinistra la palla viene ributtata nel campo avverso («la destra è divisa, ci facciano sapere cosa vogliono fare», è il refrain), ma in realtà le cose non vanno poi tanto lisce, anche se i guai stanno tutti dentro il Pd: e c’è in ballo la richiesta di una riunione dei senatori che rischia di diventare una conta.

Il terzo mandato dei sindaci e dei presidenti di regione, bubbone rimasto per mesi in sonno in entrambi gli schieramenti, ormai è esploso. E, sorte curiosa ma non troppo, Giorgia Meloni ed Elly Schlein si ritrovano di nuovo in posizione parallela, simmetrica e in asse, all’indomani dell’intesa fra le due sul cessate il fuoco in Palestina che ha terremotato i rispettivi schieramenti.

FdI e l’highlander leghista

Nella maggioranza Lega e FdI sono ai ferri corti. Si attende che in commissione Affari costituzionali del Senato il presidente Alberto Balboni (FdI) batta un colpo sull’emendamento leghista al decreto Elezioni che chiede di estendere il terzo mandato, oltreché ai sindaci dei comuni fino ai 15mila abitanti (già nel testo), a tutti i sindaci e presidenti di regione.

Balboni e il governo debbono inviare i propri pareri martedì. La premier è contraria, da sempre. Balboni anche. Ma prima ha sostenuto che l’emendamento non era ammissibile, poi ha fatto filtrare che, a un nuovo approfondimento degli uffici, sarebbe ammissibile. E, comunque, «il nodo va sciolto a livello politico». Insomma, decida Palazzo Chigi, e non scarichi sui parlamentari la responsabilità degli strappi.

Tocca a Meloni, dunque. Che manda avanti i suoi. Dopo il no del ministro Francesco Lollobrigida, giovedì a fare a spallate con i leghisti è stato il collega Luca Ciriani, su Sky Tg24: «Per noi la questione non si pone in questo momento» e in ogni caso «non si può fare con un blitz, con un emendamento presentato all’improvviso».

Segue però un passaggio fuori dai denti sul Veneto, l’oggetto del desiderio di FdI alle regionali, dove fin qui la Lega ha regnato incontrastata: «Noi, senza peccare di modestia, ci vogliamo giocare tutte le partite. Zaia è stato un ottimo governatore, peraltro il suo sarebbe il quarto mandato, perché ne ha fatti due consecutivi e uno in mezzo. Un’alternanza potrebbe anche essere possibile, perché nessuno è eterno e non lo è nemmeno Zaia».

Luca Zaia non l’ha presa bene e ha risposto su Radio 1: «L’eternità non è di questo mondo. Parlare di terzo mandato sembra quasi una difesa della poltrona, ma qui si tratta di fare una scelta di campo, mettendo al centro i cittadini protagonisti delle loro scelte. I cittadini non sono degli idioti e sanno mandare a casa sindaci e governatori dopo la prima legislatura».

Lui è uno pragmatico: «Penso al bene dei veneti e non voglio sprecare un istante del mio tempo per la politica, scioglierò la riserva qualche giorno prima della scadenza del mio mandato».

Ma non tutto quello che appare è vero, a casa Lega. Fino alla fine dell’anno scorso in realtà era Matteo Salvini, a dispetto delle dichiarazioni pubbliche e delle promesse private, a non voler lasciare Zaia al suo posto per dirottarlo sulle europee, dove assicurerebbe la messe dei suoi voti. Il presidente, però, non intende candidarsi. E per il suo futuro si parla di tutt’altro: per esempio la presidenza del Coni. La verità è che il leader leghista sta usando tutti gli argomenti possibili per attaccare Meloni, e quindi ha rispolverato il terzo mandato.

Anche Sparta non ride

Dall’altra parte, cioè nello schieramento di sinistra, l’obiettivo è scaricare tutte le responsabilità sulla maggioranza. «Le divisioni sono a destra», fanno sapere dal Nazareno. E questa è la linea. Anche perché, è il ragionamento, l’emendamento leghista alla fine potrebbe non arrivare a essere votato in commissione, dove giovedì il Pd faceva ostruzionismo sul premierato. E se invece si votasse «comunque non lo si farà prima di giovedì della prossima settimana».

Ma il problema è proprio non avere una linea. Il terzo mandato è argomento delicato anche nel Pd, interessa i presidenti Stefano Bonaccini, Michele Emiliano e, soprattutto, Vincenzo De Luca, che sarà a Roma e si peserà in piazza: oggi ha convocato i sindaci del sud per una manifestazione contro l’autonomia differenziata.

È lui, tra i dem, il principale sostenitore del terzo mandato, ma non l’unico. Da quando Schlein è alla guida, sul punto ha sempre risposto «Ne discuteremo con il partito». Ma che lei sia personalmente contraria non è un mistero. Per ora ha mandato avanti il presidente dei senatori Francesco Boccia: «Noi siamo assolutamente contrari». Molti senatori hanno derubricato l’affermazione a «una posizione a titolo personale, almeno fino a che non se ne discute».

Ma quando? Al Senato da tempo viene chiesto un confronto. Richiesta rimbalzata. Ora però una linea ufficiale è necessaria, e persino urgente, per evitare che, se la destra esplode, il Pd esploda a sua volta. La minoranza è a favore.

Giovedì lo ha detto Lorenzo Guerini, parlando a titolo personale, of course. Lui è per il terzo mandato: «La maggioranza è molto divisa sul punto, ma, se dovesse esserci lo spazio per aprire un confronto serio in parlamento, credo che il Pd insieme ai nostri sindaci dovrebbe essere pronto a discuterne».

La pensano all’opposto Nicola Zingaretti e Andrea Orlando per il quale la discussione va affrontata «guardando a ciò che serve al paese e al suo assetto democratico» ed «evitando di inseguire la destra sulla strada degli interventi spot finalizzati a modificare i rapporti di forza interni alla coalizione».

Dal Nazareno assicurano che se ne discuterà con tutti, sindaci compresi. Se ne potrebbe parlare già nella direzione di lunedì prossimo. Anche se l’orientamento della segretaria è aspettare la mossa della maggioranza. Anzi, della premier: che sul terzo mandato ha gli stessi suoi orientamenti.

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