Per Fratelli d’Italia, il giorno della fiducia alla Camera di Giorgia Meloni è una marcia trionfale. Nessuno si sottrae ai cronisti, dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, a quello dell’agricoltura, Francesco Lollobrigida. Tutti però ripetono il loro «non so nulla», perchè «anche sui sottosegretari decide la premier».

Le nomine nei ruoli di sottogoverno sono l’obiettivo su cui tutta la maggioranza è concentrata, con obiettivi diversi: Meloni per non fare passi falsi con nomi problematici; la Lega per agguantare posti che le permettano di controllare ciò che avviene nei ministeri che non ha ottenuto; in Forza Italia, invece, la spartizione è una delle battaglie da vincere nel dilaniante scontro interno tra i governativi di Tajani e i fedeli della senatrice lombarda, Licia Ronzulli.

La Lega cauta

La Lega ha imparato bene la lezione di Fratelli d’Italia e i generali rimangono formalmente in silenzio sui desiderata per i sottosegretiariati, in modo da non bruciare nomi.

Trapela che le aspirazioni fondamentali sono di un uomo al ministero delle Riforme, per vigilare sui passaggi coordinati di presidenzialismo e autonomie speciali, uno all’Agricoltura, oltre alla necessità di compensare il Veneto del fatto di essere rimasto senza ministeri in favore dei lombardi Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti.

Soprattutto, però, Matteo Salvini è intenzionato a ottenere un uomo di salda fedeltà al ministero degli Interni per supervisionare l’attività del ministro d’area, Matteo Piantedosi. La questione migratoria è ancora il pallino del neo ministro delle Infrastrutture, che è già intervenuto per dettare l’agenda e ha chiesto una stretta sugli sbarchi e sulla gestione delle navi ong.

Dopo Salvini, Piantedosi ha fatto sapere di stare valutando l’ingresso nelle acque italiane di 2 navi umanitarie con a bordo centinaia di migranti. Tuttavia, il ministro dell’Interno avrebbe lasciato intendere di non voler trasformare il Viminale nel braccio armato di un altro dicastero e per questo Salvini vorrebbe come sottosegretario un suo fedelissimo come Nicola Molteni, così da continuare a presidiare una questione che considera caratterizzante per la Lega.

Azzurri attenzionati

In Fratelli d’Italia, tutti sono coscienti e attenti alle tensioni dentro i partiti alleati. In particolare a quelle in Forza Italia, dove le intemperanze verbali di Silvio Berlusconi hanno prodotto fastidio personale e qualche ora difficile per Meloni sulla collocazione internazionale. Gli azzurri sono gli attenzionati speciali, perchè da loro potrebbero arrivare le prime defezioni e anche i primi sgambetti parlamentari al governo, se la scissione maturasse.

«Sui sottosegretari la partita si chiuderà entro 24 ore», dice con certezza un deputato di FdI molto vicino a Meloni durante la seduta alla Camera. Tradotto: la premier chiuderà la lista dopo aver ascoltato l’intervento di Berlusconi al Senato e deciderà se andargli incontro nelle sue richieste “compensative” dopo non avergli dato i ministeri della Giustizia e del Mise.

Il Cav, fiutata l’aria, ha già pubblicato una nota in cui annuncia il «contributo qualificato, serio e leale» di FI. I pronostici raccontano di un suo intervento in cui ricorderà il ruolo fondativo del centrodestra del suo partito, il lungo rapporto con Meloni e ribadirà la posizione di FI nel partito popolare europeo e la sua collocazione euroatlantica.

Tutto al posto giusto per ottenere almeno dieci sottosegretari, tra i quali uno alla Giustizia e uno all’Economia. Berlusconi, infatti, sa che l’unità del suo partito passa attraverso la ricompensa a chi è finito in mezzo alla faida Tajani-Ronzulli.

Ci dovrebbe essere un posto per il capogruppo uscente Paolo Barelli, per il suo consigliere sugli esteri, Valentino Valentini, per Andrea Mandelli lasciato a casa dal parlamento e per il ronzulliano Alberto Barachini. Posti verranno trovati anche per gli eletti meridionali, che sono rimasti fuori dalla tornata ministeriale con gran rumoreggiare dei territori.

Il problema è che, nella ripartizione, per un posto reclamato dall’area di Tajani, uno viene chiesto da quella di Ronzulli e l’equilibrio è difficile da trovare. Sotto la cenere continua a covare la richiesta di dimissioni dalle cariche di partito dei ministri Tajani e Annamaria Bernini, lanciata dal vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè. «Ha solo accelerato qualcosa che il Cavaliere aveva in mente», spiega un deputato vicino a Ronzulli, che considera il passo indietro necessario per evitare che il partito esploda.

In questo quadro, Meloni è in guardia. Le prime mosse di Salvini le hanno dimostrato che gli alleati sono pronti a sfibrarla con le loro iniziative, dentro e fuori dal parlamento. Lei, nel suo discorso alla Camera, ha lanciato un avvertimento indiretto: «Sono una persona libera. Farò ciò che devo», anche se questo significa scontentarli.

È quel che ha fatto nella scelta dei ministri e che è pronta a ripetere anche con i sottosegretari, in cui non intende farsi dettare la lista dai bilanciamenti interni a Lega e FI. Per ora è lei ad avere l’ultima parola e sa che sbagliare qualcosa ora potrebbe farla cadere in ostaggio della sua stessa maggioranza.

 

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