Ve la ricordate Giorgia Meloni nel pieno del dibattito pubblico del ddl Zan? «Presenterò un atto in parlamento in cui chiederò al governo di fermare ogni forma di accordo commerciale con i paesi in cui l’omosessualità è un reato» (4 luglio 2021). E la questione pareva l’avesse presa a cuore.

Twitter, 17 maggio 2022: «Giornata mondiale contro l’omofobia: in tante nazioni l’omosessualità è ancora considerata reato e, in alcuni stati musulmani, addirittura punita con la morte. Ma in pochi parlano o condannano ciò e spesso si preferisce fingere di non vedere. Basta ipocrisia, basta persecuzioni». Già, peccato che, oggi, la maggioranza che la sostiene voglia rispedire indietro chi da quelle persecuzioni tenta di fuggire.

Il diritto internazionale

Il 9 marzo è cominciata alla Camera la discussione di una proposta di legge recante modifiche al testo unico sull’immigrazione, che, tra le altre cose, andrebbe a restringere l’operatività del principio di non respingimento.

Si tratta di quel principio – anche detto di non-refoulement –, che vieta che uno straniero sia rimandato indietro verso uno stato in cui potrebbe essere oggetto di persecuzione in quanto appartenente ad un gruppo sociale particolarmente vulnerabile.

È un principio di civiltà che appartiene al cosiddetto diritto internazionale generale, e che dunque vincola tutti gli stati della comunità internazionale, in quanto su di esso, nel corso del tempo, si è formata una generale concordanza di prassi ed opinioni.

Addirittura, secondo la tesi prevalente, il principio di non-refoulement apparterrebbe a quel nucleo duro del diritto internazionale che resisterebbe ad ogni aggressione: diritto cogente, jus cogens, per i tecnici della materia.

Tale principio è formalizzato all’articolo 19 del testo unico sull’immigrazione, a mente del quale «in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale, di identità di genere, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali».

La proposta della Lega

Ebbene, la proposta di area leghista in questi giorni in discussione alla Camera cancella con un tratto di penna la locuzione «di orientamento sessuale, di identità di genere», rendendo dunque possibile che il migrante sia rispedito nel suo paese, dove potrebbe essere perseguitato solo perché omosessuale o transessuale.

C’è da sperare che ci si accorga presto che una modifica legislativa del genere sarebbe contraria al diritto europeo, oltre che di dubbia legittimità costituzionale.

Da un lato, infatti, la Corte di giustizia ha più volte segnalato che l’orientamento sessuale è di per sé motivo di appartenenza a un gruppo sociale vulnerabile suscettibile di persecuzione, e dunque si rientrerebbe senza dubbio nell’area del principio di non respingimento.

D’altra parte, sul piano della legittimità costituzionale, si potrebbe senz’altro invocare una violazione del principio di eguaglianza, tanto più che la Corte costituzionale ha ormai affermato da tempo che il diritto all’identità di genere è «elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona».

Ma se pure questa indegna modifica normativa non dovesse passare, la sola proposta resta come una sinistra luce sulla vera natura della nostra destra, e del governo che essa sostiene. Che si sa non essere il governo più arcobaleno della storia, va bene. Ma un conto è fare la battaglia sull’omofobia, sul matrimonio egalitario, e sul riconoscimento dei figli – andando in direzione ostinatamente contraria a quanto chiede l’Europa –, altro è giocare sulla pelle delle persone che scappano a persecuzioni.

A tanto può arrivare il livore ideologico: a non capire che sì, si potrà discutere sul riconoscimento dei diritti civili, ma rispedire un innocente al suo carceriere è un’altra cosa.

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