Cento carri armati Leopard fermi da anni in un deposito a Gorizia, una compravendita fallita, un accordo tra l’Agenzia italiana difesa (Aid) e un’azienda svizzera, dei documenti mancanti: sono questi gli elementi principali del caso giudiziario scoppiato durante in Svizzera ma che riguarda sempre di più anche l’Italia. Un caso sul quale il Parlamento del nostro paese è chiamato a fare chiarezza per capire in che modo l’Aid - un ente controllato dal ministero della Difesa - avrebbe venduto a un’azienda extra-Ue materiale militare senza le dovute autorizzazioni.

La storia dei Leopard

La vicenda ha inizio nel 2016, quando l’azienda di Stato elvetica Ruag Holding acquista da Aid cento carri armati Leopard versione 1A5 fermi già da diversi anni nel deposito di Lenta, in provincia di Vercelli, e i relativi pezzi di ricambio. I veicoli, secondo quanto si legge nel contratto siglato tra le parti, dovevano essere trasferiti non oltre dicembre 2017 in un deposito nei pressi dell’azienda Goriziane Group di Villesse, specializzata nel ricondizionamento e manutenzione dei veicoli corazzati militari. La Ruag infatti aveva intenzione rendendoli nuovamente operativi i Leopard per poi rivenderli al Brasile, al tempo potenziale acquirente dei veicoli ottenuti dall’Italia.

Qualcosa però va storto e l’intesa con il governo di Brasilia sfuma, mentre i Leopard restano fermi sul territorio italiano in attesa di un nuovo acquirente. Gli anni intanto passano, i veicoli sono sempre fermi nel deposito di Villesse, ma la compagnia svizzera non riesce a disfarsi dei mezzi acquistati da Aid. Poi però scoppia la guerra in Ucraina e il valore dei carri armati – soprattutto quelli meno avanzati – aumenta vertiginosamente. Basta pensare che un veicolo acquistato da Ruag nel 2016 per 45mila euro vale adesso almeno un milione, una cifra ancora più impressionante trattandosi di mezzi dismessi verso la fine degli anni Novanta e bisognosi di interventi di manutenzione. I carri armati però scarseggiano e i Leopard della Ruag diventano improvvisamente un prodotto ricercato sul mercato per sostenere la resistenza ucraina contro la Russia.

Da questo momento in poi la storia si complica. Come svelato dalla cellula inchieste della Radiotelevisione svizzera Rsi, la Ruag cerca di vendere i carri armati all’azienda tedesca Rheinmetall pur senza avere le dovute autorizzazioni da parte del governo elvetico. Intanto iniziano a circolare voci di Leopard italiani da inviare in Ucraina tramite la Rheinmentall, ma senza informazioni chiare sulle procedure né tantomeno sulla catena di acquirenti. Un’intervista rilasciata dall’ad dell’azienda tedesca fa sorgere ulteriori interrogativi, mentre la scelta dell’Italia di secretare la lista del materiale militare inviato in Ucraina rende ancora più complesso tener traccia delle esportazioni belliche.

Il fronte italiano

Qualcosa però non torna. Come evidenziato dagli osservatori Weapon watch e da Opal, l’Aid avrebbe dovuto chiedere all’autorità competente Uama (l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) l’autorizzazione per la vendita e la successiva esportazione dei carri armati Leopard. L’Agenzia però non sembra averlo fatto. Nelle relazioni al parlamento sulle operazioni autorizzate per il trasferimento dei materiali di armamento pubblicate dal 2013 – anno di iscrizione di Aid al Registro nazionale delle imprese – al 2022 non c’è traccia di questo documento.

Eppure la legge 185/90 che regola il settore stabilisce l’obbligo per le aziende iscritte al Registro di richiedere all’Uama l’autorizzazione all’export per poter procedere alla firma di un contratto di vendita di materiale bellico. La legge è ancora più stringente nel caso di accordi con paesi extra-Ue, tra i quali rientra anche la Svizzera.

L’Aid avrebbe potuto procedere senza autorizzazione se si fosse trattato di materiale talmente tanto deteriorato da non poter essere più classificato come militare, ma l’accordo siglato con la Ruag e reso noto da Rsi è chiaro. Le parti si sono accordate per la compravendita di «cento carri armati Leopard 1A5 in surplus» fermi nei depositi di Lenta e Napoli e delle relative componenti, riportate in dettaglio in ben 131 pagine di allegati.

Eppure l’Aid in passato aveva seguito le procedure previste dalla legge. Gli osservatori italiani ricordano come nel 2018 l’Agenzia abbia richiesto e ottenuto l’autorizzazione dell’Uama per la vendita alla Grecia di quasi sette milioni di pezzi di ricambio per Leopard 1A5. Autorizzazione correttamente riportata nella Relazione presentata l’anno successivo al Parlamento.

Perché allora non c’è traccia dell’accordo del 2016 con la svizzera Ruag? L’autorizzazione non è mai stata richiesta dall’Agenzia italiana? Anche consultando il volume II delle Relazioni al parlamento in cui sono riportati i dati sulle transazioni economiche non sembra esserci traccia del pagamento effettuato da Ruag all’Aid tramite la Ubae, la banca a capitale italo-libico scelta dall’Agenzia italiana come intermediario finanziario.

In alcune relazioni risultano però dei pagamenti effettuati dalla Svizzera alla Goriziane Group e segnalati come “Altro” o “Beni e servizi soggetti a 185/90”. A causa della complessità delle Relazioni e dell’aggregazione dei dati non è possibile sapere con certezza a cosa si riferiscano quelle transazioni, ma potrebbe trattarsi di servizi legati ai Leopard.

Destinazione

La mancanza di autorizzazione da parte di Uama comporta dei problemi anche sulla definizione dell’utilizzatore finale dei Leopard, se questi dovessero effettivamente essere ricondizionati e rivenduti a paesi terzi dalla Ruag. Secondo quanto previsto dalla legge 185/90, l’acquirente deve segnalare all’Italia quale sarà l’end-user del prodotto venduto e chiedere una nuova autorizzazione nel momento in cui questo cambia.

Se la Ruag, che ha acquistato da Aid i Leopard, dovesse effettivamente rivenderli alla tedesca Rheinmetall o inviarli all’esercito ucraino dovrebbe prima notificarlo alle autorità italiane competenti. La Ruag nel contratto siglato con Aid si è impegnata a inviare all’Agenzia il certificato di end-user «nel caso in cui il materiale debba essere esportato», ma in assenza di autorizzazione rischiano di venir meno alcune garanzie.

Che cosa succede ora

Adesso dovrebbe essere il parlamento, che svolge le funzioni di controllore, a chiedere spiegazioni alle autorità competenti sul caso dei Leopard, anche per evitare che casi simili si ripetano. La guerra in Ucraina ha riacceso l’attenzione sul mondo degli armamenti e anche sui surplus che proprio l’Aid ha il compito di vendere. Quello della Ruag rischia di essere un pericoloso precedente e quanto sta accadendo in Svizzera è ben poco rassicurante.

L’azienda elvetica al momento è sotto processo dopo le rivelazioni della cellula inchieste di Rsi sia in Svizzera che in Germania per aver cercato di vendere alla tedesca Rheinmetall i carri armati acquistati dall’Italia prima di aver ricevuto le necessarie autorizzazioni all’export. L’azienda elvetica è anche accusata di aver cercato di aggirare le leggi sulla neutralità della Svizzera facendo arrivare i Leopard in Ucraina tramite la Germania.

Un secondo filone di inchiesta riguarda poi la vendita da parte della Ruag di 25 Leopard alla Gmbh per soli 500 franchi al pezzo, una cifra irrisoria per un contratto ugualmente poco chiaro e non conforme alle leggi nazionali. I carri armati intanto sono ancora fermi in Italia.

Il Consiglio federale svizzero ha bloccato ogni possibile esportazione, nonostante i tentativi di Ruag di far passare i mezzi militari come materiale non più adatti a scopi bellici, e difficilmente i Leopard lasceranno il deposito di Villesse nel prossimo futuro. Il caso svizzero dimostra ancora una volta quanto opaco possa essere il mercato bellico, soprattutto nei momenti di crisi, e quanto la guerra si sia trasformata in un’occasione di guadagno per aziende pronte ad aggirare le leggi.

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