Due ore, dalle tre del pomeriggio alla sede di Arel, il centro fondato da Beniamino Andreatta che per Enrico Letta è tutt’ora “casa”. Il posto dove il segretario del Pd convoca gli incontri più delicati. E quello di ieri con Giuseppe Conte era delicatissimo. Il faccia a faccia arriva nel momento di massima distanza fra le due forze alleate alle amministrative e in parlamento, ma qui ormai solo in teoria. E il “campo largo” è in questa fase è una pia intenzione.

Le divergenze sono tali che l’ok arrivato ieri da tutta la giunta per il regolamento del Senato allo scioglimento della commissione Esteri, per mandare a casa il presidente grillino filoputiniano Vito Pretrocelli, è ormai più un’eccezione che la regola. La commissione sarà ricostituita, i gruppi designeranno i nuovi componenti entro il 13 maggio. Ma per una vicenda che si risolve, ce ne sono molte altre che rischiano di deflagrare. Di qui l’urgenza del confronto fra i due.

Ufficialmente i toni sono «cordiali». Dal lato del Nazareno vengo sparsi aggettivi come «costruttivo» e sostantivi come «pazienza» e «pacatezza». Ma nella realtà stavolta invece lo scambio è teso. Persino le comunicazioni formali devono ammettere «posizioni non pienamente convergenti» e il fatto che fra i due «non si sono nascoste le tensioni di queste ultime settimane». Del resto era impossibile. E già il fatto che le fonti del Nazareno valutano l’incontro «positivo perché non c’è stata rottura» è il segno, inedito, che la rottura non è più impossibile.

Sul tavolo due temi: la questione delle armi all’Ucraina e quella dell’inceneritore di Roma. Sulla guerra Letta ha ribadito di essere «sempre favorevole al confronto parlamentare» che Conte chiede. Ma gli ha ricordato che l’invio delle armi italiane è “coperto” da un voto fino a fine anno; «e comunque risponde all’art.51 della Carta dell’Onu». Per il Pd ora serve un’azione diplomatica della Ue, ma intanto il limite invalicabile del sostegno all’Ucraina «è l’attacco al territorio russo». Conte ha ribadito i M5s che dirà no ai nuovi invii di armamenti.

Poi c’è il caso dei rifiuti a Roma. Su questo è lo stesso movimento a essere spaccato. L’ala capitolina, guidata da Virginia Raggi, ha annunciato la raccolta delle firme contro l’inceneritore. L’ala della regione Lazio, guidata da Roberta Lombardi, assessora della giunta Zingaretti, è contraria all’opera ma parla di un’iniziativa – la petizione – «non concordata». E non è un problema romano.

Conte ha minacciato il no alla conversione del decreto che contiene i poteri speciali a Gualtieri, da commissario al Giubileo, per far partire l’operazione. I ministri pentastellati si sono astenuti. «Su quella norma non può neppure lontanamente calare il concetto di fiducia» è l’avviso. Alla Camera, dove arriverà il decreto, sono al lavoro i pontieri grillini per emendare il testo per renderlo digeribile. Ma è difficile che ci riescano. E lo strappo, oltre ad avere conseguenze sul governo, potrebbe arrivare prima delle amministrative. E abbattersi nella già complicata sfida per i comuni. Dove l’alleanza giallorossa «c’è», per l’ex ministro Francesco Boccia, responsabile enti locali del Pd. Ma su 26 capoluoghi al voto, nella metà il simbolo M5s non sarà presentato. E dove c’è, il «campo largo» non è favorito, come a Genova e Palermo.

Letta davanti ai cronisti butta acqua sul fuoco: «Io l’ho considerata una ottima discussione, le divergenze le assumiamo, ma abbiamo voglia di andare avanti insieme». Da parte di Conte però non arrivano rassicurazioni. Il segretario Pd porta pazienza, almeno fino ai ballottaggi. Ma un deputato dem sbotta: «Questo agitarsi scompostamente mina la coalizione e ai Cinque stelle non porta neanche uno zero virgola in più. Ma produce entropia».

Nei gruppi parlamentari dem cresce l’irritazione, «Conte si fa dettare la linea dal Fatto sulla guerra e da Raggi su Roma. E alla fine dà ragione a chi non ha mai creduto all’istituzionalizzazione del M5s. Sta vanificando il processo che per noi è condizione per l’alleanza: essere una forza seria e di governo»

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