Nessuna rogatoria dagli Stati Uniti per chiedere all’Italia i dispositivi mobili, pc, smartphone e pen drive, di Mohammad Abedini, l’ingegnere di 38 anni iraniano arrestato a Milano lo scorso 16 dicembre su richiesta degli Stati Uniti.

La Procura di Milano spiega che non c’è stato alcun passaggio ufficiale e in maniera indiretta nega quanto raccontato da Domani, ossia che il trasferimento delle informazioni contenute nei device di Abedini abbia convinto gli Usa a concedere il via libera al governo e ai servizi segreti italiani di trattare con Teheran per la liberazione di Cecilia Sala, arrestata il 19 dicembre e detenuta in isolamento nel carcere di Evin.

Quello che viene confermato dagli inquirenti è che il verbale di sequestro probatorio è stato convalidato dalla Procura di Busto Arsizio e quindi trasmesso a Milano nel fascicolo aperto senza indagati né ipotesi di reato, dal procuratore Marcello Viola con l’aggiunto Eugenio Fusco. Inoltre, spiegano dalla Procura «non sono in corso attività investigative sui device sequestrati ad Abedini».

In caso di formale richiesta, mediante rogatoria, delle autorità statunitensi dovrebbe essere preso in considerazione il trasferimento dei device mobili del 38enne iraniano.

La versione del legale di Abedini

La notizia, svelata in anteprima dal nostro giornale, ha creato inevitabili imbarazzi negli ambienti investigativi: un’ammissione avrebbe ridimensionato il ruolo della magistratura con i pm risultati scavalcati. E per questo motivo è stata inevitabile la puntualizzazione sulla conservazione del materiale sotto il controllo dei magistrati. 

L’avvocato dell’ingegnere iraniano, Alfredo Di Francesco, rispondendo alle domande dei cronisti ha comunque confermato che nel trolley di Abedini, sequestrati al momento dell’arresto, c’erano «il computer, alcuni documenti commerciali e il telefono».

Al netto delle smentite di rito, però, la trattativa sui dispositivi mobili dell’ingegnere iraniano è stata la mossa decisiva per sbloccare il negoziato tra l’Aise, guidato da Giovanni Caravelli, con i servizi segreti dell’Iran affidati al ministro Ismail Khatib, con gli statunitensi spettatori più che interessati: sono stati loro a chiedere l’arresto di Abedini che vorrebbero negli Usa.

La trattativa su due livelli

Le informazioni contenute nei dispositivi dell’ingegnere, accusato di essere la mente per la costruzione dei droni iraniani, sono state la moneta di scambio per convincere la Cia sul piano dell’intelligence. Anche se prima è stato necessario l’avallo politico ottenuto dalla Casa Bianca di Joe Biden e anche dal prossimo presidente, Donald Trump, in seguito al viaggio della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in Florida, a Mar-a-lago.

Fonti accreditate hanno infatti ribadito a Domani la versione raccontata nel giorno della liberazione di Cecilia Sala. Una mediazione che si è svolta su un livello di intelligence con equilibri delicati e attraverso canali riservati.

Il Raggruppamento operativo speciale (Ros) ha invece smentito che siano in corso indagini sul caso-Sala. Il Ros «come di consueto si è limitato ad acquisire dalla signora Sala dichiarazioni spontanee sull’accaduto, che sono state depositate alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma».

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