Il governo italiano ha deciso di combattere con tutte le sue forze contro la pasta scotta ovunque si trovi nel mondo. Verrebbe voglia di parlare di guerra assurda, ma in questo lungo e terribile anno, segnato dalla sanguinosa e reale guerra all’Ucraina scatenata da Vladimir Putin, la terminologia militare risulterebbe del tutto fuori luogo. Ci aggrapperemo quindi alla storia e ci limiteremo a parlare di tragicomica crociata.

Perché in ogni caso non si tratta di una guerra combattuta con fucili e cannoni, per fortuna, ma con armi generalmente non letali come il guanciale, la pasta di grano duro o il Parmigiano Reggiano.

Salvare pizza e spaghetti

Il ministero per la Sovranità alimentare vuole istituire una task force che operi in territorio straniero, ma forse si dovrebbe dire nemico, e che con rapidi blitz ben preparati sia in grado di liberare centinaia di piatti di spaghetti alla carbonara tenuti in ostaggio da cuochi crudeli armati di panna, oppure sottrarre innocenti pizze napoletane che ogni giorno sono costrette a subire il trattamento inumano di chi si ostina a proporle con sopra grosse fette di ananas.

La nostra sensazione è che la sacrosanta iniziativa del prode ministro Francesco Lollobrigida sia purtroppo tardiva: dopo decenni di trascuratezza, dettata forse dall’eccessiva generosità che contraddistingue il nostro popolo, sarà impossibile ristabilire la purezza gastronomica che i ristoranti italiani nel mondo hanno ormai perduto. Abbiamo insegnato a cucinare a tutti e adesso ci ripagano deturpando le nostre immortali ricette, scolpite nei marmi della gloria imperiale di Roma. Trenette al pesto col basilico argentino, bucatini all’amatriciana con la pancetta e la cipolla, tiramisù con biscotti canadesi e così via… come si può sopportare oltre questo continuo oltraggio?

Da quello che si è intuito, il progetto del ministero, supportato dalla Coldiretti, è quello di fermare una volta per tutte un tale scandalo e quindi di formare un certo numero di valutatori che alla fine di un corso specifico conosceranno a memoria tutti i disciplinari di tutte le specialità italiane, ad esempio sapranno indicare senza esitazioni tutti gli ingredienti e le modalità di preparazione del ragù alla bolognese e soprattutto il formato di pasta con il quale si potrà abbinare, che ogni volta che ci si condisce uno spaghetto muore una casalinga nella città delle due Torri.

Un duro lavoro

Questi valutatori dovranno andare in giro per il mondo a testare i ristoranti italiani per verificarne l’effettiva corrispondenza con la tradizione gastronomica italiana. Come si capisce, è un lavoro duro, ma qualcuno lo dovrà pur fare… Io, che sono votato al sacrificio, mi candido fin da questo momento a far parte di questo team di coraggiosi assaggiatori e sono disposto a correre il rischio di mangiare ogni giorno linguine spezzate a metà o lasagne con il Cheddar…

Quello che non si capisce è cosa potranno fare i componenti della task force, una volta appurata la non corrispondenza tra i piatti proposti da questi ristoranti e la vera tradizione italiana. Potranno fare una scenata? Rubare qualche posata per creare un danno all’usurpatore di italianità, denunciare il proprietario del locale per millantato credito? A questo proposito, il pensiero non può non andare alla celebre scena di Checco Zalone nel film Quo Vado?, quando scopre che il cuoco norvegese butta la pasta nell’acqua ancora fredda e quindi decide di smontare la scritta “Italian Restaurant” che campeggia sulla porta del locale. Le parole del ministro vanno esattamente in questa direzione: «Dobbiamo dire basta ai ristoranti che si dicono italiani e utilizzano prodotti che non lo sono, basta a cuochi che non sanno cucinare italiano e diventano, spesso, oggetto di barzelletta».

L’obiettivo è ripartire dalla difesa del modello italiano nel mondo: «Lo possiamo fare riconoscendo, anche attraverso un disciplinare, quelli che sono i veri ristoranti italiani all’estero. Il governo è al lavoro su un nuovo progetto che lanceremo da qui a poco». Coldiretti e la maggioranza di centrodestra si sono già dichiarate appagate da questo progetto. Ad esempio, la parlamentare di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo non ha aspettato un secondo ed esternare la propria approvazione: «Fa benissimo il ministro Lollobrigida a difendere il nostro marchio nel mondo. Si chiama interesse nazionale». Resta da capire quale sia la minaccia per l’interesse nazionale se un ristorante italiano in Inghilterra mette in menù i “meatballs spaghetti”.

I problemi in Italia

In realtà, questa grottesca iniziativa ministeriale, come era del tutto prevedibile, ha scatenato l’entusiasmo di alcuni, pochi a dire il vero, e ha generato molte perplessità in altri, fino ad arrivare al vero e proprio dileggio da parte di alcuni parlamentari dell’opposizione. Tra questi, uno dei più caustici è stato il deputato di Italia viva Luigi Marattin, che ha fatto a sua volta il paragone con il film di Checco Zalone.

A stretto giro ha risposto il ministro in persona, ricordando come questa iniziativa non faccia altro che riprendere un progetto avviato quando sulla sua poltrona sedeva proprio la renziana Teresa Bellanova. La cosa più interessante, però, sarebbe sapere se siano previste o meno ispezioni anche per i ristoranti italiani in Italia, che molto spesso propongono una cucina di livello qualitativo ancor più basso di molti ristoranti italiani all’estero. Se la scelta degli ingredienti è un discrimine in Belgio, in Giappone o in Australia, non si capisce perché non lo debba essere anche a Viterbo, Cosenza o Bolzano.

Così come il rispetto di una mitologica tradizione debba essere intransigente all’estero, mentre possa essere molto flessibile dentro i confini nazionali; che sanzioni applicherebbe, ad esempio, la task force di Lollobrigida nei confronti di un Gualtiero Marchesi che nella sua carbonara metteva la panna, o di un Carlo Cracco, che per sua stessa ammissione nell’amatriciana mette l’aglio?

Andrà a finire che per mangiare un piatto di lasagne come si deve ci toccherà andare a Lugano.

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