Di sovranità alimentare, al momento, c’è solo il nome, accompagnato da qualche stanziamento che dovrebbe produrre effetti per il futuro e la contestuale, quanto massiccia, opera di assunzione negli uffici. Tanti buoni propositi, insomma. Ma al momento non si è registrato alcun cambio di passo dal “vecchio” Mipaaf (Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) al nuovo Masaf, che sta appunto per Ministero dell’Agricoltura e della sovranità alimentare. Anche le battaglie intraprese sono semplicemente il prosieguo di quanto fatto in precedenza.

L’esempio principale è rappresentato dal perentorio “no” al Nutriscore, il sistema di etichettatura dei prodotti messo sul tavolo dall’Unione europea, sotto l’impulso della Francia. Il bilancio dell’esordio di Francesco Lollobrigida nelle vesti di ministro dell’Agricoltura non è stato scoppiettante, nonostante la modifica nella denominazione che lasciava presagire un approccio più incisivo fin dai primi passi. Una rivoluzione che, mai come in questo caso, è solo nelle parole.

Nostalgia della Camera

Il quadro è influenzato dall'iniziale riluttanza di Lollobrigida verso il ruolo assunto. È storia nota che lui preferisse non ricoprire incarichi governativi. Era stato rieletto già capogruppo alla Camera: in quelle vesti si trovava a proprio agio. Tra i corridoi di Montecitorio ha costruito legami, anche con i giornalisti grazie alla proverbiale disponibilità, e ha cementato rapporti di stima reciproca con esponenti dell’opposizione.

All’interno della conferenza dei capigruppo sarebbe diventato il principale punto di riferimento, essendo presidente del gruppo di FdI, il più nutrito dopo il risultato alle elezioni del 25 settembre. E avrebbe avuto spazio per agire da regista di manovre politiche. Tanto per fare un esempio è stato proprio l’attuale ministro dell’Agricoltura, prima dell’assunzione dell’incarico, a lavorare in punta di regolamento alla Camera per trovare il cavillo necessario per concedere la deroga propedeutica alla costituzione del gruppo Noi Moderati, guidato da Maurizio Lupi. Un mattone per avere il controllo dell’ufficio di presidenza di Montecitorio.

Così, Lollo, come viene chiamato da colleghi di partito e amici, tuttora si materializza appena può in Transatlantico, senza celare nelle conversazioni private una sorta di nostalgia per la presenza quotidiana alla Camera.

Pretesa di Meloni

La macchina ministeriale è tutt’altra cosa, molto complessa e a tratti farraginosa. E di sicuro tecnica. Come spiegano dagli uffici del palazzo del Ministero, in via XX Settembre, «qua dentro si parla di zucchine e pomodori, non di strategie politiche». Più questioni pratiche e meno fumisterie politiche. Ma Lollobrigida ha dovuto mettersi al comando del Mipaaf, poi trasformato in Masaf, per volere della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che di lui si fida ciecamente, in virtù dell’ormai ben noto legame familiare, essendo il compagno di Arianna Meloni, quindi cognato della premier.

Fratelli d’Italia ha preteso quella poltrona, scontrandosi con i desiderata della Lega. Addirittura Matteo Salvini in persona aveva messo l’incarico nel mirino, consapevole della grande quantità di risorse a disposizione e della relazione con un comparto da sempre seguito dalla destra. Il leader legista ha dovuto arrendersi di fronte ai numeri che davano ragione a Fratelli d’Italia e alle richieste della leader.

Dialogo con le associazioni

Così “Lollo” ha dovuto confrontarsi con un mondo che non conosceva in pieno. Ma un fatto si nota: fatica ancora a uscire dalla comfort zone di esponente politico sempre più di spicco, una sorta di numero due di Meloni. E alla fine il Masaf si sta trasformando nel suo trampolino di lancio nell’orbita della destra italiana. Il ministro ha infatti rafforzato il suo peso politico, grazie al consolidamento del rapporto con le associazioni di categoria, molto influenti, con in testa la Coldiretti, guidata da Ettore Prandini, indicato come possibile titolare dell’Agricoltura durante il totoministri. Poco male. Con Lollobrigida al timone del dicastero, le richieste di Coldiretti trovano un interlocutore più che attento.

Uno degli ultimi esempi è relativo al taglio delle accise sulla birra, già introdotto dal governo Draghi e confermato dall’esecutivo di Meloni nel decreto Milleproroghe. L’intervento è stato inserito proprio negli ultimi passaggi dell’iter del provvedimento, strappando la pubblica soddisfazione della Coldiretti. Ma anche con l’altra grande organizzazione del settore, la Confagricoltura, vengono tenuti i fili del dialogo. In questo caso non è passato inosservato il plauso per la proroga sul credito di imposta ai carburanti agricoli e le agevolazioni fiscali introdotte per il settore olivicolo, colpito dalla Xylella fastidiosa, il batterio che ha creato ingenti danni soprattutto agli ulivi in Puglia.

Continuità sul Nutriscore

Al netto dei microinterventi, cosa si sta facendo per la sovranità alimentare, principale obiettivo del ministero? «Ci sono misure spot, spesso scollegate tra loro», dice Alessandro Caramiello, deputato del Movimento 5 stelle della commissione agricoltura. Sul tema della sovranità alimentare, lo stesso Lollobrigida ha cercato di abbassare le aspettative, sostenendo che il concetto di sovranità alimentare non è «altro che il diritto di una nazione di scegliere e difendere il proprio sistema alimentare e decidere il proprio modello produttivo, in alternativa all'omologazione alimentare globale e al cibo sintetico». Un lavoro che, così come esplicitato, mira ad accorciare le filiere produttive e avvincere produttore e consumatore. E piazzare delle bandiere.

Prima tra tutte la ben nota battaglia contro il Nutriscore, che è stata al centro dell’illustrazione delle linee programmatiche di fronte alle commissioni di Camera e Senato. «L’Italia continua a contestare quei sistemi di etichettatura, primo tra tutti il Nutriscore, che mirano a condizionare il consumatore nelle sue scelte, piuttosto che garantirgli una ampia e trasparente informazione», ha detto il ministro rivolgendosi alla platea di parlamentari. Un impegno, quello contro il Nutriscore, che però non è certo riconducibile alla figura di Lollobrigida.

Già il suo predecessore, Stefano Patuanelli, aveva contrastato il sistema di etichettatura “a semaforo”, perché danneggerebbe i prodotti tipici italiani, dai formaggi al prosciutto. Così, sul finire della scorsa legislatura, il ministro pentastellato aveva rilanciato il modello italiano, il nutrinform battery, per le etichette che presentano delle grafiche sotto forma di batteria per descrivere il contenuto delle proprietà nutrienti. Sul punto, però, Lollobrigida non ha chiarito se intende portare avanti le posizioni del predecessore. Di recente si è limitato a sottolineare che occorrono delle «alternative».

Lo slittamento della decisione finale al 2024, stabilito dalla commissione europea, è stato comunque illustrato come un grande successo del governo, omettendo un punto centrale: ha rappresentato la conseguenza di una posizione compatta assunta da praticamente tutti i partiti italiani. Oltre ai ministri che hanno preceduto Lollobrigida, E una battaglia che nell’Europarlamento ha unito il Pd, con l’ex ministro Paolo De Castro in prima linea, al leghista Angelo Ciocca. Con i vari governi allineati, indipendentemente dal colore politico.

Italian sounding e nomine

C’è poi tutto il tema del contrasto all’Italian sounding, la pratica con cui vengono scimmiottati i nomi dei prodotti tipici per ingannare i consumatori, come avviene per esempio con il parmensan. Sul punto Lollobrigida ha ottenuto un investimento importante con il potenziamento del personale interno al Ministero: 300 unità aggiuntive che dovranno, almeno secondo quanto stabilito, concentrarsi esclusivamente sulla lotta alle sofisticazioni e al problema dell’Italian sounding, che secondo le stime della Coldiretti ha creato un danno stimabile in decine di miliardi di euro, portando alla diminuzione di almeno 300mila posti di lavoro. 

Lollobrigida, da politico navigato, ha subito cercato di avere al suo fianco profili di fiducia. Uno dei suoi primi atti al Masaf è stato quello di stoppare l’iter della nomina del nuovo direttore di Agea, l’agenzia che gestisce le erogazioni per l’agricoltura. La cassaforte del settore. La procedura era stata avviata da Patuanelli, il successore ha fermato la macchina.

E la selezione è stata vinta da Fabio Vitale, che vanta solidi rapporti pure con Giancarlo Giorgetti, con cui ha lavorato negli ultimi mesi dalla scorsa legislatura al Ministero dello Sviluppo economico.

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