La mattina dopo lo strappo del loro leader, i Cinque stelle sono per lo più galvanizzati. L’umore cambia totalmente con l’annuncio della decisione di Mario Draghi di dimettersi. Nelle chat grilline prima si parla di tornare a «fare casino», «avere le mani libere» e «sbattere i pugni sul tavolo». Poi, d’improvviso, il silenzio. Sono pochissimi quelli ancora convinti che la decisione di non partecipare al voto sia stata la scelta giusta: tanti scommettevano sulla prospettiva di tornare all’opposizione.

L’entusiasmo aveva portato i senatori a seguire fin dall’inizio della giornata alla lettera le indicazioni di Giuseppe Conte di non esprimersi: a eccezione della defezione di Cinzia Leone, neanche uno dei 61 senatori grillini ha partecipato al voto. La decisione però «si sottrae alla logica della fiducia al governo» spiega la capogruppo Castellone, un tentativo di tenere aperta la situazione.

Ma, con la prospettiva del voto, l’opposizione diventa sempre più un miraggio. «Arrivare alle elezioni da una posizione privilegiata potrebbe consentire di recuperare punti nei sondaggi, soprattutto se dovesse rientrare Alessandro Di Battista», sintetizza nel pomeriggio il loro pensiero un deputato. L’idea di parlamentari e vertici è anche quella di danneggiare il neonato partito di Luigi Di Maio con un’aggressiva campagna da portare avanti dall’opposizione.

Il ministro degli Esteri, dal canto suo, ha già iniziato a lavorare per un Draghi bis: la speranza è quella di convincere un numero sufficiente di ex colleghi a prendere le distanze da Conte o a passare con Insieme per il futuro per dare al presidente del Consiglio dimissionario un segnale di sostegno che possa convincerlo a rimanere, magari con una componente dimaiana che sostituisca i grillini.

Ma c’è chi è già pronto anche ad affrontare la campagna elettorale. «Magari non è il momento per una campagna elettorale, ma personalmente non mi preoccupa l’eventualità del voto anticipato, sono sempre pronta a dare la parola ai cittadini» scrive su Facebook Francesca Flati, una delle deputate più intransigenti sulla questione del termovalorizzatore.

Tentativi di salvataggio

Quando in mattinata la situazione precipita e i grillini iniziano a comprendere che Draghi fa sul serio, mentre una parte degli eletti assiste quasi incredulo agli effetti della decisione del loro capo, un’altra fetta del Movimento cerca di salvare il salvabile, o almeno di non precludersi tutte le strade. Uno di questi è lo stesso Conte, che continua a chiedere «certezze» in cambio dei voti Cinque stelle e non ha mai pensato di ritirare la delegazione di governo. Tradotto: la responsabilità di cacciare il M5s deve cadere in capo al presidente del Consiglio.

L’altro che ha tentato fino all’ultimo di ricucire è stato il ministro per i Rapporti col parlamento. Il grillino Federico D’Incà ha tentato una mediazione con i capigruppo del Senato per proporre a palazzo Chigi un ritiro del voto di fiducia. Uno stratagemma che avrebbe permesso al Movimento di votare solo gli articoli del provvedimento per loro condivisibili, ma niente da fare. Il presidente del Consiglio ha respinto la proposta e insistito per il voto di fiducia.

Adesso Conte ha cinque giorni per decidere la sua linea per mercoledì prossimo, quando dovrà scegliere se strappare definitivamente o concedere la fiducia a Draghi per convincerlo a restare. Quel che aveva consigliato Beppe Grillo nel suo ultimo viaggio a Roma: «Restare al governo per influire».

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