Lo scontro tra Giuseppe Conte e Mario Draghi è ancora lontano dall’esaurirsi, nonostante il presidente del Movimento 5 stelle abbia deciso di abbassare i toni, almeno temporaneamente.

Ma la tensione tornerà a crescere la prossima settimana, da martedì in poi, quando il provvedimento su cui il governo ha posto la fiducia alla Camera, il decreto Aiuti, arriverà al Senato. Ed è proprio a palazzo Madama che la maggioranza potrebbe inciampare. Nonostante il testo sia lo stesso, infatti, i voti del Movimento potrebbero essere diversi. 

Il regolamento di Montecitorio ha infatti offerto in questi giorni a Conte la scappatoia che gli ha permesso di tenere insieme il desiderio di lasciarsi alle spalle il governo con la trattativa con Draghi: alla Camera, quando l’esecutivo pone la fiducia, il voto si sdoppia. In questo modo, i Cinque stelle hanno potuto contemporaneamente sostenere il governo votando la fiducia e mandare un segnale politico di dissenso con un’astensione – ancora non certa, ma molto probabile – al voto finale di lunedì prossimo. 

Al Senato questa possibilità non è prevista, e l’inghippo sta tutto in questa regola. Il voto è uno solo, e non votare equivale a negare la fiducia. Se il Movimento, forte di 62 parlamentari, decidesse di astenersi, si aprirebbe ufficialmente la crisi: la maggioranza non sarebbe in difficoltà, ma passerebbe dagli attuali 248 voti a 186. Problemi concreti si avrebbero soltanto in caso di un effetto domino e con l’ulteriore addio dei 61 senatori della Lega. «Sarebbe un voto d’attesa» dice una parlamentare. «In fondo stiamo aspettando che Draghi si muova». 

L’attesa

Mentre la comunicazione di partito raccomanda a tutti i parlamentari di riprendere nelle proprie dichiarazioni le richieste di Conte, a palazzo Madama si discute di come procedere. Sono giorni di discussioni e riunioni: nel fine settimana i senatori dovrebbero iniziare a definire insieme la linea. Si valutano anche i precedenti storici delle diverse possibilità: astensione di tutto il gruppo o assenze mirate per lanciare un segnale. 

«Al Senato Conte non li tiene più» dice un deputato, e la prova delle sue parole si ritrova nel tenore degli interventi dell’assemblea congiunta degli eletti di ieri sera, quando i falchi hanno difeso con forza le ragioni di un addio al governo. A palazzo Madama la linea è stata storicamente meno accomodante nei confronti del resto della maggioranza, e anche in questi giorni la ricerca di un compromesso non è tra le priorità dei senatori.

Per il momento, la linea di partito è quella di aspettare le risposte di Draghi alle 9 richieste di Conte, per valutarle e poi decidere che strada seguire. «Si aspettano rassicurazioni sul reddito e gli altri temi» dice una persona del Movimento «ma non è detto che arrivino». O che, ammesso anche che il presidente del Consiglio le conceda, siano sufficienti.

Le condizioni

Sarà tenuta d’occhio anche la disponibilità del governo ad assecondare gli ordini del giorno in votazione alla Camera dopo la fiducia. Sono atti spesso di poco peso, che impegnano l’esecutivo per il futuro, ma il Movimento li ha caricati di significato. Per esempio, ce n’è uno che cambia le regole in fatto di cessione dei crediti del Superbonus, una delle modifiche per cui i grillini si sono battuti in commissione. «Se il governo ci dà contro, sicuramente la fiducia al Senato si fa più complicata» dice un deputato. 

Le variabili da tenere d’occhio sono tante, i giorni che mancano al voto in aula, in programma per il 15 o il 16 luglio, data di scadenza del provvedimento, pure. «Dovessimo decidere oggi, lo scontento renderebbe chiara la decisione. Ma manca una settimana, e in situazioni come questa una settimana è infinita» dice una senatrice. Il sospetto diffuso è che i giorni che separano il Movimento dal voto saranno costellati di incidenti e incomprensioni: «Sembra che tutti vogliano leggere le cose nel peggiore dei modi per andare allo strappo» dice un parlamentare.

A contribuire al difficile quadro di palazzo Madama è il clima nel gruppo, che è dominato da diverse sensibilità. Non tanti sono convinti della linea più moderata della presidente del gruppo, Mariolina Castellone, sulla stessa lunghezza d’onda di Conte. Altri, come la militante storica Paola Taverna, sono tentati da uno strappo che potrebbe permettere di recuperare punti nei sondaggi. Le due sono tra le figure più di peso nel gruppo senatorio, che però conta anche tanti spiriti liberi, come Ettore Licheri e Danilo Toninelli.

Tanti senatori al secondo incarico stanno poi ancora digerendo la decisione di Beppe Grillo di cancellare ogni ipotesi di deroga al limite dei due mandati. L’ulteriore insoddisfazione per il proprio futuro, ridotto a un incarico di mentorship nella migliore delle ipotesi, si somma alla sensazione che il resto della maggioranza non veda l’ora di fare a meno di Conte e i suoi. 

A rendere più facile lo strappo è anche la sicurezza che ormai il vitalizio è al sicuro: in base alle norme del parlamento, anche se la pensione scatterebbe soltanto dopo quattro anni, sei mesi e un giorno di legislatura, ormai i parlamentari sono nello spazio di tempo in cui il beneficio è già garantito, anche se si dovessero sciogliere le camere domani. 

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