La presidente del Consiglio nega lo scontro con le toghe ma poi attacca a testa bassa, parlando di difesa preoccupante. Sullo sfondo, in Ue, torna al pettine il nodo del Mes su cui preferisce far finta di niente: «Meglio non parlarne per il bene della nazione»
Nemici ovunque. Dall’Italia all’Europa, dai migranti al Mes, ancora un volta il refrain della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, viene riproposto con varie declinazioni. In cima alla lista c’è, nemmeno a dirlo, la magistratura, assurto a bersaglio preferito. Certo, la presidente del Consiglio garantisce che non c’è nessun fronte aperto.
Ma poi è lei stessa a parlare della «difesa corporativa che mi preoccupa» da parte dei magistrati. Un rilancio di fatto dello scontro tra poteri. I giudici sono responsabili dell’esame dei provvedimenti sui migranti, smontati pezzo per pezzo in punta di diritto. Dopo il pronunciamento della giudice Iolanda Apostolico a Catania, il magistrato Luca Minniti a Firenze ha dato ragione a un richiedente asilo tunisino che chiedeva di valutare i fattori economici e geopolitici del Paese di provenienza.
Un doppio colpo che non è andato giù a Palazzo Chigi. E la risposta non si è fatta attendere con toni pepati. Nell’intervista a SkyTg24, in occasione dei vent'anni della rete, Meloni ha fatto buon viso a cattivo gioco. Ha detto: «Come un magistrato è libero di dire che un provvedimento del governo è illegittimo, il governo può dire che non è d’accordo». Nel tentativo di smorzare i toni ha quindi aggiunto: «Sono una persona di destra. Chi è di destra come me ha rispetto dei servitori dello Stato, rispetto della separazione dei poteri, rispetto delle istituzioni della Repubblica».
Mes silenziato
In Italia è la magistratura a creare più di qualche grattacapo. Al di fuori dei confini nazionali riprende la sinfonia di polemiche nei confronti dell’Europa che chiede di adeguarsi ai parametri comunitari. All’uscio del dibattito in Ue si ripresenta il Mes, spauracchio congelato per qualche mese. «La posizione del governo è sempre la stessa e io non ho cambiato idea sul tema», ha confermato Meloni. Ma di fronte alla necessità di sciogliere il nodo, la premier ha buttato la palla in tribuna, chiedendo di non parlarne più, di far passare la questione sotto traccia, spacciandolo come un comportamento utile per il bene nazionale. Ma che in realtà riguarda solo il bene e la tenuta della sua maggioranza.
«Al di là di quello che si pensi nel merito dello strumento, penso che chi oggi propone di aprire questo dibattito non faccia un favore all'Italia in ogni caso, che si sia favorevoli o contrari», ha commentato. Da qui l’aggiunta: «Non ha senso discutere uno strumento se non si conosce qual è la cornice all’interno della quale quello strumento si inserisce». La questione sul tavolo resta, insomma, la revisione del Patto di stabilità, la partita decisiva per il governo in vista della prossima legge di Bilancio, e non solo. Non è un mistero che l’Italia ambisce a una sorta di scambio. «Se tornassero i vecchi parametri, per noi e per quasi tutti i Paesi europei sarebbero un problema», ha ammesso la premier sul patto. «E non tenerne conto - ha insistito sul punto - è tipico di un modo miope e ideologico di affrontare il dibattito».
Sulle nuove regole per la spesa, d’altra parte, Meloni mantiene una linea prudente, limitandosi a dire che «vede una certa convergenza». Un training autogeno in attesa del confronto reale sui tavoli di Bruxelles.
Riforme e piano Mattei
La premier agita lo spettro dei nemici interni ed esterni, ma chiude il cerchio con la tipica propaganda sulle cose da fare. E dal cilindro viene di nuovo estratto, per l’ennesima volta, il famigerato piano Mattei. Le opposizioni in parlamento hanno chiesto più volte di avere una bozza di testo, senza ricevere risposta. «Siamo in dirittura d'arrivo con le norme che ci consentono la governance», ha garantito Meloni.
«L’Africa è un continente potenzialmente ricchissimo, che detiene il 60 per cento delle materie prime strategiche e una percentuale altissima di terreni coltivabili non coltivati», ha argomentato la leader di Fratelli d’Italia, sostenendo che «potrebbe agevolmente vivere bene delle risorse che ha. Il punto è approccio che si ha».
Infine il mantra delle riforme da realizzare: «Mi piacerebbe provare a lavorare già in legge di Bilancio a una prima applicazione della riforma fiscale, bisogna cominciare a metterla a terra». Tempi più lunghi, invece, per il premierato messi all’ordine del giorno con la ministra Maria Elisabetta Alberti Casellati.
«Subito dopo la legge di Bilancio - ha concluso Meloni - vorrei portare la legge costituzionale sulla revisione del nostro assetto istituzionale». Insomma un 2023 di road map per quello che sarà. All’insegna dell’andamento a rilento e della strategia dei piccoli rinvii.
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