È un coro di oltre trecentomila persone quello che non si stanca di ripetere, da piazza Vittorio Emanuele II a piazza San Giovanni in Laterano, «Palestina libera». Dagli sguardi alle bandiere, dai cartelli alle maglie, la sensazione è quella di un grido sentito. In mezzo ci sono padri di famiglia, come Danilo che è venuto con i suoi quattro figli. «I Palestinesi sono miei fratelli, sono loro fratelli» – dice indicando i suoi bambini. «Loro sono ancora vivi, hanno il pane in tavola e non sono costretti a stare in fila per ore e ore con il rischio di essere bombardati per la sola unica colpa di avere fame».

Accanto a lui, c’è Alberto che invece è venuto «perché in gioco c’è il futuro dell’umanità, non solo quello dei palestinesi. Se ci giriamo dall’altra parte facendo finta di non vedere questo genocidio, tutto ormai diventerà lecito. Non ci sarà più nessuna linea rossa per governanti con le mani sporche di sangue».

Ed è proprio il colore del sangue che, guardandosi intorno, sembra sporgersi da ogni dove. Dai volti di chi ha voluto tingersi «di rosso per ricordare quelle madri che non rivedranno più i loro figli, quei padri che non hanno avuto nemmeno il tempo di provare a metterli in salvo mentre le bombe si infrangevano sui tetti delle loro case».

E poi c’è anche chi, come Salvatore, porta sulla maglietta l’immagine di un bambino che tiene tra le braccia un orsacchiotto di peluche mentre, alle spalle, si intravedono le macerie della sua scuola rasa al suolo.

«Questa l’ho presa dai social, l’unico posto in cui si racconta quello che sta accadendo a Gaza. Il governo può silenziare la sua televisione ma non può imbavagliare chi si trova lì e ci fa vedere le sofferenze quotidiane di una popolazione sterminata giorno dopo giorno».

Accanto alla vecchia guardia, c’è anche chi come Serena ha capito «che non si può più stare in silenzio. È ipocrita – dice – ricordare la giornata della Memoria e poi fare finta di nulla davanti ai corpi senza vita di oltre trentamila bambini. Tutti sanno ma nessuno fa niente».

Silenzio che, senza sé e senza ma, diventa complicità per Giuseppe. «Il nostro governo non è riuscito ancora a dire neanche una parola di condanna. Nulla di nulla. Mentre in giro per l’Europa ci si mobilita, loro continuano a vendere armi a Netanyahu. Bombe, proiettili con cui l’assassino porta avanti il suo personale sterminio nella Striscia».

Ad essere complice, per Giulia, «è anche chi oggi non si trova qui. Chi crede che la situazione palestinese non lo riguardi. O peggio, chi si appella inutilmente a definizioni, tecnicismi per giustificare un massacro senza precedenti».

La piazza prima dei leader

Più si va avanti, più si ha come l’impressione che chi oggi è sceso in piazza l’abbia fatto per l’esigenza morale di non voltarsi dall’altra parte davanti a quella sofferenza che si sporge da ogni feed social.

Più che per qualche ordine di partito, chi è tra i trecentomila di San Giovanni vuole ribadire forte e chiaro il suo sdegno per quello che un popolo, quotidianamente, continua a subire. Sdegno che rimbalza anche nelle parole dei leader che si contendono il palco. «Questa è la piazza dell'umanità contro lo sterminio sistematico che va avanti da 20 mesi con tanti governi, a partire da quello italiano, che stanno facendo finta di non vedere e ancora oggi balbettano». Ha detto il leader del M5s, Giuseppe Conte.

Parole che riecheggiano anche nell’intervento della segretaria del Pd, Elly Schlein. «Uniti oggi insieme in una delle piazze più belle per dire basta al massacro, basta ai crimini di Netanyahu. A Gaza è in corso una pulizia etnica, non lo possiamo accettare: è in corso una pulizia etnica. Il governo Meloni, codardo, non è riuscito a esprimere una condanna».

Il palco su cui si trova concorde l’opposizione, si rispecchia anche tra chi si accalca dietro le transenne sottopalco come Simone. «Come diceva poco fa Bonelli, ci sentiamo l’ultimo presidio d’umanità. Oggi abbiamo scelto di essere qui per i nostri figli. La speranza è che loro non subiscano mai quello che i loro coetanei, senza colpa né parte, stanno vivendo in Palestina».

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