È un discorso che va dritto al punto, e con toni cupi, quello che Sergio Mattarella rivolge nel tradizionale saluto agli ambasciatori accreditati nel nostro paese alla vigilia del 76esimo anniversario della scelta della Repubblica per referendum popolare.

«Con la Costituzione l’Italia ha imboccato con determinazione la strada del multilateralismo, scegliendo di non avere paesi nemici e lavorando intensamente per il consolidamento di una collettività internazionale consapevole dell’interdipendenza dei destini dei popoli, nel rispetto reciproco, per garantire universalmente pace, sviluppo, promozione dei diritti umani. Ci ha spinto e ci spinge il solenne impegno al ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali». Il presidente usa le parole della Carta. I pacifisti, e con loro schiere di costituzionalisti, leggono l’articolo 11 come una definitiva rinuncia alla guerra. Mattarella sembra dire – invece – che è proprio il ripudio della guerra a collocare un paese dentro la «comunità» internazionale. Non ci sono, nella platea dei diplomatici, l’ambasciatore russo e quello bielorusso. Non sono stati invitati, in linea con una decisione presa a livello europeo. Mattarella parla pochi minuti, e quasi solo della guerra: non potrebbe essere diversamente, per il presidente della Repubblica che fra i primi, al momento dell’invasione 99 giorni fa, si è schierato solidamente dalla parte della resistenza di Kiev.

Ora, passati oltre tre mesi, tutto precipita e non verso la pace. «L’aggressione all’Ucraina da parte della Federazione russa pone in discussione i fondamenti stessi della nostra società internazionale, a partire dalla coesistenza pacifica», dice, si avverano «scenari che vedono l’umanità protagonista della propria rovina», «l’incancrenirsi delle contrapposizioni» che «conduce soltanto ad accrescere i serbatoi dell’odio, a negare le ragioni della libertà, della democrazia, della giustizia internazionale dei popoli, valori incompatibili con chi promuove conflitti».

«Vie d’uscita»

Anche nella ricerca della soluzione del conflitto, dunque, c’è un paese aggredito e un aggressore che ha valori incompatibili con la giustizia internazionale. Ora bisogna «porre fine alla insensatezza della guerra e promuovere le ragioni della pace».

E la «Repubblica italiana» – espressione che Mattarella usa insistentemente, e non solo in occasione della festa del 2 giugno – è convintamente impegnata nella ricerca di vie di uscita dal conflitto che portino al ritiro delle truppe occupanti e alla ricostruzione dell’Ucraina». Anche perché «le conseguenze della guerra riguardano tutti», accanto alle vittime e alle devastazioni «la rottura determinata nelle relazioni internazionali si riverbera sempre più sulla sicurezza alimentare di molti paesi», sulle «relazioni economiche e commerciali».

È un passo indietro sulla strada «del perseguimento degli obiettivi legati all’emergenza climatica», anzi, una retrocessione globale del «progresso della condizione dell’umanità». Per questo l’augurio ai diplomatici è di «ripristinare una rinnovata legalità internazionale». Ma prima che un augurio è «una convinzione e una prospettiva».

Si aprono così, i festeggiamenti del 2 giugno. Una festa repubblicana, certo, ma con i toni segnati dal conflitto alle porte dell’Europa. Oggi ai Fori imperiali torneranno a marciare – simbolicamente, per fortuna – le truppe, dai Gruppi sportivi paralimpici della difesa e dei corpi armati, fino alle Forze speciali, a quelle di Esercito, Marina militare, Aeronautica militare, Carabinieri e Guardia di finanza e via sfilando fino alla Protezione civile e Servizio civile universale.

Polemiche pacifiste

La scelta di tornare a far svolgere la parata militare, dopo due anni di pandemia, è accolta dalle polemiche di parte pacifista, anche per una spesa non precisamente essenziale (oggi a Pisa è convocata una contromanifestazione, ma è solo una delle tante iniziative disarmiste indette per oggi). Con un orecchio alla cittadinanza, il ministro Lorenzo Guerini ha deciso che la sfilata sarà aperta da un settore civile: trecento sindaci guidati dal presidente dell’Anci Antonio Decaro, primo cittadino di Bari. Sono i sindaci che assicurano l’accoglienza e l’inclusione dei profughi ucraini, ricorda in mattinata lo stesso Mattarella parlando ai prefetti. La loro non è una prima volta. Lo è invece quella della rappresentanza del personale delle oltre 30 professioni socio-sanitarie. Novità di questa edizione anche il passaggio di un elicottero del 118, altro simbolo di chi si è battuto in prima linea contro la pandemia.

Tutti i festeggiamenti tornano in presenza, anche quelli del Quirinale. Che ha comunque scelto il principio di cautela, nonostante la fine delle restrizioni anti Covid. Nei Giardini del palazzo oggi non ci sarà il tradizionale ricevimento serale. Ma la cittadinanza sarà accolta, altro gesto altamente simbolico del Colle: nel pomeriggio, in due turni, saranno ricevute duemila persone con fragilità. Resta il segno della guerra in atto. Un’«insensatezza» troppo grande perché nel discorso di Mattarella trovi spazio la situazione politica interna. Eppure è difficile non sentire, sotto la gravità del momento che il presidente descrive, le contraddizioni della politica italiana. Le maggiori forze della maggioranza cercano quotidianamente di distinguersi dall’azione dell’esecutivo.

Anche se non possono spingere fino alla rottura, per non intestarsi il fallimento delle riforme funzionali al Pnrr. Anche dall’opposizione arrivano paradossi: chi si candida a governare alle prossime elezioni, promette di cambiare queste riforme. È la promessa di un rischio per il paese. Non ultimo, l’attivismo opaco di Matteo Salvini in direzione Mosca. Mattarella non sfiora neanche il tema, ma l’accusa verso l’autocrate russo è eloquente. Ce n’è in abbondanza per rendere fragile, e prossimo alla caduta, un governo che di fatto si regge sull’asse proprio fra il Colle e palazzo Chigi.

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