Come in una serie tv, è arrivata la narrazione di due mondi diversi. Opposti. Sergio Mattarella, nel discorso di fine anno, ha chiesto allo stato di farsi carico della «sicurezza della convivenza, anche contro il rischio di diffusione delle armi». Denunciando di fatto la deriva della proliferazione di pistole e fucili. Perché i giovani non devono essere armati, ma aiutati a muoversi nel mondo.

Poche ore dopo, il giallo della pistola alla festa organizzata dalla famiglia del sottosegretario Andrea Delmastro: un colpo d’arma da fuoco è partito dalla pistola di un deputato di Fratelli d’Italia, Emanuele Pozzolo, e ha ferito un uomo di 31 anni, genero di un agente della scorta di Delmastro.

«In merito all'incidente accaduto la notte di Capodanno nella sede della Pro Loco di Rosazza, confermo che il colpo di pistola - da me detenuta regolarmente - che ha ferito uno dei partecipanti alla festa è partito accidentalmente, ma non sono stato io a sparare», ha spiegato Pozzolo all’Ansa. Resta che circolava, arma in tasca, la notte di Capodanno. Una collisione: dal richiamo alla responsabilità del Quirinale al rischio di tragedia, per colpa di un’arma appunto, nel piccolo borgo di Rosazza (Biella), dove è sindaca Francesca Delmastro, sorella del sottosegretario.

L’Italia del Colle

Un’istantanea delle differenze tra il Colle e la destra di governo. L’altra Italia, quella di Sergio Mattarella, si era piazzata davanti alla tv poche ore prima. Anche quest’anno sono stati in tantissimi e tantissime ad accendere il televisore per seguire il messaggio del presidente della Repubblica: quasi 11 milioni di italiani (10.647.140), uno share stellare del 65,13 per cento, praticamente come lo scorso anno (gli spettatori furono 10.643.452), distribuiti su Rai 1 (5,2 milioni), Rai 3 (772mila), Rai 2 (470mila), Rai News (64.500) e gli altri quattro milioni di spettatori distribuiti sui canali Mediaset, La7 e Sky.

Un pubblico sterminato, che racconta come il capo dello Stato sia la figura istituzionale verso la quale i cittadini manifestano la maggiore fiducia, come da tempo dicono i sondaggi. E a quest’Italia il presidente ha rivolto l’invito a praticare i valori costituzionali, «fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace».

Per Mattarella è questa e non quella sovranista, la definizione di «identità nazionale». Il presidente parla di «orgoglio» per questi valori: sembra – nessuna interpretazione di questo genere viene autorizzata dal Colle, anzi – l’esatto contrario dell’«orgoglio» patriottardo degli auguri di Natale del video della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

La guerra e la violenza sono il filo conduttore del ragionamento. Traspare la preoccupazione per le due guerre «in corso» nel cuore dell’Europa e sulle rive del Mediterraneo: la devastazione della Russia contro l’Ucraina e l’«orribile e ignobile» attacco di Hamas contro i civili israeliani e – accanto – le migliaia di vittime civili della reazione del governo israeliano, le «moltitudini di persone» di Gaza costrette «ad abbandonare le proprie case, respinte da tutti».

La guerra, dice, «è frutto del rifiuto di riconoscersi tra persone e popoli come uguali» per affermare «un principio di diseguaglianza», le «macerie» pesano «sul nostro presente e graveranno su futuro della nuova generazione». Mattarella fa riferimento al mercato delle armi, così diffuse e «fonte di enormi guadagni», eppure, per il presidente, la guerra nasce dalla sopraffazione: «È indispensabile fare spazio alla cultura della pace, alla mentalità della pace», «non astratto buonismo, ma il più urgente e concreto esercizio di realismo se si vuol cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità».

Ma il presidente non è diventato «pacifista», almeno non nell’accezione dei movimenti disarmisti: anzi, sottolinea, «per porre fine alle guerre in corso non basta invocare la pace», serve «la volontà dei governi, anzitutto quelli che hanno scatenato i conflitti» perché «volere la pace non è neutralità».

Donne e diritti

Mattarella torna – lo ha fatto spesso in quest’ultimo anno – sulla violenza «più odiosa», quella contro le donne. Parla ai «ragazzi»: l’amore «quello vero», «non è egoismo, dominio, malinteso orgoglio», «è ben più che rispetto».

La violenza è anche «espressione di rabbia, il risentimento che cresce nelle periferie» frutto «del sentimento di abbandono», e «la tendenza a identificare nemici», spesso «travolgendo il confine che separa il vero dal falso». Parole che si riferiscono ai fenomeni in rete, non solo italiani: ma anche qui è difficile non pensare alle dinamiche dello scontro fra maggioranza e opposizione. Un clima di scontro che rende più difficile affrontare i problemi concreti delle famiglie e dei cittadini: il lavoro «che manca, pur in presenza di un significativo aumento dell’occupazione», quello «sottopagato», quello «a condizioni inique e di scarsa sicurezza, con tante e inammissibili vittime»; le «immani differenze di retribuzione fra pochi super privilegiati e tanti che vivono nel disagio», il diritto universale alla salute minato da «liste di attesa per visite ed esami in tempi inaccettabilmente lunghi».

E ancora un passaggio molto politico: «Occorre coraggio per ascoltare, e vedere situazioni finora ignorate», «realtà a volte difficili da accettare»: i fragili «rimasti isolati» nella società della «cultura dello scarto» – l’omaggio all’«instancabile magistero» di papa Francesco è esplicito – gli anziani, gli studenti «che vanno aiutati a realizzarsi, il cui diritto allo studio incontra ostacoli, a cominciare dai costi degli alloggi» nelle città universitarie «improponibili per la maggior parte delle famiglie».

Valori costituzionali

Il finale è sui «valori»: la solidarietà, «la partecipazione attiva alla vita civile, a partire dall’esercizio del diritto di voto» che non è «rispondere a un sondaggio, o stare sui social», la democrazia che è «esercizio di libertà», libertà «che quanti esercitano pubbliche funzioni sono chiamati a garantire», libertà «da abusivi controlli di chi, gestori di intelligenza artificiale o di potere, possa pretendere di orientare il pubblico sentimento». Libertà che è un «diritto di partecipare alla vita della comunità» prima che «un dovere», «anche un diritto al futuro». Il presidente torna per l’ennesima volta sull’evasione che «riduce le risorse per la comune sicurezza sociale. E ritarda la rimozione del debito pubblico; che ostacola il nostro sviluppo».

E invece «contribuire alla vita e al progresso della Repubblica, della Patria, non può che suscitare orgoglio negli italiani». Mattarella usa lo stesso termine usato dalla premier Meloni nel suo video di auguri natalizi («Siano feste di serenità e orgoglio»), una delle poche che sappiamo di lei in questi giorni di malattia e silenzio.

Ma ne sostanzia il significato, ribaltando la retorica sovranista e divisiva: «La forza della Repubblica è la sua unità», dice Mattarella, «L’unità non come risultato di un potere che si impone» ma come modo «di intendere la comunità nazionale», «un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace». In nome della Costituzione. Si sofferma quindi su valori costituzionali «che appartengono all’identità stessa dell’Italia».

Ed anche qui il presidente usa un termine caro alla destra, l’«identità», ma lo sostanzia con la pratica dei valori: «Li ho incontrati nella composta pietà della gente di Cutro», «nella operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall’alluvione, spalavano il fango; e cantavano ‘Romagna mia’», «negli occhi e nei sorrisi, dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut», «di quelli che lo fanno a Casal di Principe, laddove i beni confiscati alla camorra sono diventati strumenti di riscatto civile (...) tenendo viva la lezione di legalità di don Diana».

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