Scorrendo i suoi profili social, non troverete pizze, panini e pastasciutte come in quelli del suo leader di partito, Matteo Salvini. No, il presidente della provincia autonoma di Trento si propone come amante dello sport. Anzi, degli assi dello sport. Ovviamente meglio se conterranei, con cui congratularsi in veste istituzionale per i loro successi.

Eppure Maurizio Fugatti, classe 1972, sulla carta è più avvezzo ai numeri che a pedali, palloni e cronometri: la sua professione è infatti quella di dottore commercialista, al netto di una carriera politica ormai ventennale che lo ha visto a lungo deputato a Roma e, per pochi mesi, anche sottosegretario alla salute nel primo governo Conte. Ma lo sport potenzialmente affratella, indipendentemente dalle propensioni politiche. E anche i numeri sarebbero neutri. Possono però non esserlo le loro interpretazioni: nelle scelte politiche e nel dibattito scientifico.

È il caso del Festival dell’Economia che per sedici anni, puntualmente a inizio giugno, ha animato Trento ponendola al centro del dibattito nazionale e internazionale, con sfilate di premi Nobel, ministri a profusione, un pubblico inatteso fin dalla prima edizione. E un ritorno economico in senso stretto (ricettività, ristorazione), sorprendente per un festival sulla “scienza triste”. Festival che a oggi era unico al mondo, ma che dal prossimo anno raddoppierà: quello di Trento targato Laterza si trasferirà a Torino, lasciando il posto al Gruppo Sole 24 Ore, a cui la giunta provinciale di Trento, con una controversa delibera ha deciso di affidare la prossima edizione.

Leghista democristiano

Raramente l’azione amministrativa di Fugatti ha avuto un’eco nazionale: il Trentino è piccolo, stretto ai lati dai colossi Lombardia e Veneto, con governatori come lui leghisti ma rispetto a lui ben più mediatici, nel bene e nel male. Al massimo le rituali polemiche per via di orsi sempre più numerosi e voraci, con il conseguente pugno duro della Provincia a scatenare proteste animaliste.

Questa volta però Fugatti ha gettato il cuore oltre l’ostacolo, smentendo la nomea di “leghista democristiano” (nel senso di portato al compromesso) che da sempre a Trento lo accompagna. Non esattamente un colpo di scena, visto che già nel 2018, appena eletto, aveva collocato un presunto taglio sinistrorso del Festival nel proprio mirino. Sono quindi dettagli secondari la costruzione di una procedura fin qui inedita, con progetti messi a confronto, e il non tener conto del giudizio della commissione valutatrice, che aveva assegnato un punteggio maggiore proprio a Laterza.

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Rivoluzione culturale

Se si guarda al pre-Covid, mosse analoghe erano state numerose. E forse inevitabili, se si considera che la conquista della provincia aveva spezzato un “monopolio” di centrosinistra che durava da tutta la Seconda Repubblica (e a ben vedere anche nei decenni precedenti). Di qui diverse nomine nei punti nevralgici del sistema trentino della cultura, quelli dove l’esposizione mediatica al di fuori della provincia è maggiore. Su tutte naturalmente quella di Vittorio Sgarbi alla presidenza del Mart di Rovereto, nel febbraio del 2019, con annesse polemiche per via delle ricorrenti bufere che riguardano il critico d’arte, vuoi per la sua attività di parlamentare (ricordate quando venne portato fuori a braccia dall’aula?), vuoi per le sue immagini senza veli (più precisamente: seduto sul water) diffuse via social.

Vittorio Sgarbi trascinato a forza fuori dal Parlamento (LaPresse)

Sgarbi e non solo. L’altro polo museale d'eccellenza provinciale, il Muse di Trento (Museo delle Scienze), è infatti ora nelle mani del filosofo Stefano Zecchi, la cui nomina alla presidenza ha seguito di appena due mesi quella di Sgarbi al Mart. Un altro volto popolare anche al pubblico televisivo, dunque, e come Sgarbi dal profilo politico affine al centrodestra, vista la sua esperienza di assessore comunale alla cultura a Milano con il sindaco Albertini. Due presidenti dal profilo mediatico così spiccato non potevano che collidere tra loro. Anche perché il Muse, a Trento, sta dirimpetto a Palazzo delle Albere, sede cittadina del Mart: li divide solo un prato, su cui Zecchi aveva a un certo punto pensato di piazzare un bel planetario. E con Sgarbi che aveva rilanciato caustico: e perché non un centro fitness con Belen Rodriguez come madrina? La baruffa durò settimane, con la giunta provinciale imbarazzata sul come schierarsi, ma alla fine del planetario non si è più parlato. E chissà se Zecchi l’ha poi mandata giù.

Il forum della cultura

Con due primattori come i presidenti di Mart e Muse, era poi passata in secondo piano a giugno sempre del 2019 una terza mossa: la scelta cioè di affidare a Pietrangelo Buttafuoco il coordinamento di un ciclo di incontri chiamati “Forum della cultura” che, coinvolgendo tutti gli operatori locali, nelle intenzioni avrebbero dovuto fornire le linee guida di un ambizioso piano complessivo, passando attraverso degli “Stati generali della cultura” di cui però si sono sùbito perse le tracce.

La pandemia ha poi spento sul nascere ogni altra eventuale ambizione provinciale nel settore. Ma la domanda oggi, alla luce del cambio di cavallo al Festival dell’Economia, si ripropone per intero: erano (e sono) tutti tasselli di un progetto culturale? O si tratta invece di una semplice occupazione di posti di potere?

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Una questione di potere

Propende per quest’ultima lettura Mario Raffaelli, ex parlamentare socialista e, negli anni ’80, sottosegretario agli esteri nei governi Craxi, Goria e De Mita, con Andreotti ministro: fu protagonista tra l’altro delle trattative che portarono agli accordi di pace per il Mozambico. Regista lo scorso anno della candidatura vincente di Franco Ianeselli (ex segretario Cgil del Trentino) a sindaco di Trento, Raffaelli fino al dicembre 2019 è stato anche presidente del centro per la cooperazione internazionale di Trento, che aveva risanato.

Poi le clamorose dimissioni, dopo aver subìto dalla provincia drastici tagli ai contributi. E oggi la vede così: «Ma quale progetto culturale? Si tratta di scelte caratterizzate da due fattori: da un lato una totale assenza di disegno politico e di cultura di governo, dall’altro una duplice subalternità, al Veneto e alla personalità di Salvini. Il risultato è la sistematica demolizione di quanto era stato fatto prima, visto che non sono in grado di proporre nulla di realmente innovativo».

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Il concerto

A meno che non si convenga di definire innovativa la scelta di promuovere un concerto. Anzi, il più colossale dei concerti possibili in Italia: quello di Vasco Rossi. E in effetti per il Trentino sarà una novità: mai infatti ha ospitato un evento di queste dimensioni (si prevedono 120mila spettatori).

A Trento sud, stretta da un lato dalla Ss12 e dalla sovrastante collina, dall’altro dalla tangenziale di accesso alla città e dalla ferrovia del Brennero, sorgerà la nuova Trentino Music Arena, per rimanervi poi stabilmente. Proprio dove ora si trova il centro vaccinale drive-through. Il calcolo dunque è che per il 20 maggio del prossimo anno, quando arriverà la crew di Vasco, il centro vaccinale non sia più necessario: e chi non se lo augura, a prescindere dai gusti musicali. Un investimento pubblico costoso e ambizioso: solo per infrastrutturare l’area, una ventina di ettari, lo stesso Fugatti ha ipotizzato un milione e mezzo di euro.

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Strada Vasco Rossi

L’intenzione, parole del presidente, è quella di riposizionare il brand “Trentino”: non più solo territorio di montagna, per un turismo in armonia con una precisa cultura dell’ambiente, ma anche mèta di quelle legioni che per decenni, nel nome del “Blasco”, hanno solcato notti e strade padane.

La scommessa è grossa, a partire dalle difficoltà logistiche: parcheggi, vie di fuga, la stessa dimensione dell’area per tanta gente e per un palco enorme come quello del musicista emiliano. Che porterà a casa anche l’intitolazione di una strada o altro, una mostra a lui dedicata e addirittura l’Aquila di San Venceslao, la massima onorificenza della provincia. E poi elicotteri a disposizione e ospitalità pagata all’intero staff: il tutto a cura di Trentino Marketing, il braccio della provincia per la promozione turistica. Meno orsi e più watt? È questa dunque la visione di Fugatti?

Tanta Roba

«È un uomo di selfie, di spot e di televisioni. Mai di visioni. Semmai, di divisioni», è il giudizio drastico di Paolo Ghezzi, a lungo direttore del quotidiano l’Adige e poi brevemente sui banchi del consiglio provinciale all’opposizione della giunta leghista. Su Fugatti ha intinto la penna nel vetriolo per tracciarne, testuale, un «profilo psicopolitico»: «Aborre gli intellettuali e il concetto stesso di “visioni” – ha scritto sul giornale online Salto.bz, dove “Salto” sta per Südtirol Alto Adige –: nessun autore di riferimento (neppure di destra), nessuna lettura conosciuta, nessun parametro culturale noto. La visione non la pratica proprio perché gli sembra un delirio, un vaniloquio, una sorta di fuga nell’empireo dei pensatori da salotto, una fumisteria da intellettuali di sinistra».

A inizio agosto, dopo aver annunciato l’evento, era stato però lo stesso Fugatti in un’intervista al Corriere del Trentino a raccontare la propria adolescenza musicale (e dunque culturale): il poster in camera di Piero Pelù con bandana («ho visto i Litfiba una dozzina di volte»), The Gang, i Rats, naturalmente Vasco. Ma un po’ a sorpresa anche i Cccp, un concerto a Modena «con Giovanni Lindo Ferretti in gran spolvero, tanta roba». E ancor più dell’elenco dei suoi eroi giovanili, a restituire fedelmente Fugatti al lettore è proprio quel «tanta roba».

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