Giorgia Meloni ha bisogno di nuovi argomenti su cui far slittare l’attenzione per riuscire finalmente a chiudere il discorso sul Mes. Ma la sua maggioranza, ancora una volta, non glielo consente. La premier giovedì era a Bruxelles per il Consiglio europeo, dove ha provato a spostare il discorso sulla discussione del preaccordo sull’immigrazione.

Ma non ha fatto in tempo a elaborare una formula di compromesso sul Mes – «l’approccio a pacchetto» – che ha rassicurato gli alleati leghisti. Subito si è trovata di fronte al testo che prevede la ratifica, sbarca in aula già oggi.

La ragione sta nella decisione della maggioranza di disertare la seduta in cui si votava il mandato al relatore del testo: i gruppi della commissione Affari esteri di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia hanno scelto di non presentarsi, lasciando il governo a rimettersi alla commissione o nel caso specifico alle opposizioni.

Eppure, l’accordo di maggioranza puntava a rallentare il percorso del testo, non partecipando alle sedute.

Ma esaurite discussioni e audizioni, il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, presente in aula per rappresentare il governo, non ha potuto far altro che permettere di votare alle opposizioni (Pd, Più Europa e Terzo polo) il mandato al relatore, per la proposta che arriverà in aula oggi alle 9.30.

Se dall’opposizione segnalano la mancanza di strategia di governo e maggioranza, la destra spiega che, in realtà, sta andando tutto secondo i piani. La maggioranza conta sul fatto che per congelare il testo basta la richiesta di rispedirlo in commissione per ulteriori approfondimenti.

Una strada che si potrebbe percorrere già la prossima settimana, dopo che oggi si saranno esauriti gli interventi in discussione generale (verosimilmente tutti a favore della ratifica, difficile che la maggioranza voglia intervenire).

Obiettivo immigrazione

Mentre la sua maggioranza decideva di non presentarsi, Meloni stava arrivando al Consiglio europeo a Bruxelles, dove tra le altre cose si discuteva, ieri e oggi, anche del preaccordo concluso tra i ministri dell’Interno dell’Ue.

Un argomento definito dal cancelliere tedesco Olaf Scholz semplicemente «un consolidamento di opinioni che si sono già formate» nell’ultima riunione dei ministri dell’Interno, ma che per la premier è diventato l’elemento centrale della riunione. All’ordine del giorno in realtà c’erano anche altre questioni, a partire dal sostegno all’Ucraina, ma la premier ha voluto puntare tutto sull’elogio del “nuovo” approccio dell’Ue all’immigrazione, che «era impensabile sino a pochi mesi fa». «Risolve i problemi di tutti», ha detto Meloni, secondo cui questo «racconta quell’idea di partenariato strategico con i paesi del nord Africa» di cui «l’Italia è stata portatrice in questi mesi».

In realtà, prima di trovare l’accordo definitivo andranno superate le ostilità di Polonia e Ungheria. Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha spiegato che Varsavia non è disponibile a sostenere l’idea di applicare sanzioni a chi non collabora alla ridistribuzione. Ma Meloni ha ansia di portare a casa qualcosa, anche perché pure l’altra questione su cui Roma ha bisogno dell’avallo di Bruxelles, il Pnrr, non fa passi avanti. Il ministro competente, Raffaele Fitto, ha incontrato ieri il commissario Paolo Gentiloni, ma le trattative sullo sblocco di terza e quarta rata sembrano ancora ferme.

D’altra parte, è anche il governo a prendere tempo: la scadenza per l’invio delle modifiche al piano è prevista per fine agosto, ma continuano a non esserci notizie specifiche sulle intenzioni del governo. Tanto che il Pd sta già valutando la richiesta di una nuova informativa al ministro Fitto, se non ci fossero aggiornamenti a stretto giro. Sono troppe le questioni aperte su cui Meloni non ha risposte da dare.

E allora, meglio riportare lo “spin” di palazzo, la narrazione del governo, sui dodici miliardi aggiuntivi messi sul piatto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nell’ambito della revisione di bilancio. Soldi, dice Meloni, che andrebbero usati non tanto per investimenti in sicurezza, ma in «cooperazione». Insomma, qualcosa da offrire nelle trattative con i paesi del nord Africa, come quella intavolata a inizio giugno con il presidente tunisino che per ora ha portato a un nulla di fatto: «La discussione è aperta anche per il bilancio dei prossimi anni. Vedremo cosa diranno gli altri paesi, ma è un punto strategico».

Sono pochi passi in avanti concreti sul piano dell’immigrazione, ma sufficienti per far passare in secondo piano l’incertezza in cui sono avvolti Mes e Pnrr. Esattamente come il piano di sovranità – soldi da destinare all’industria, ma cui pesa ancora il divieto agli aiuti di stato inscalfibile per Francia e Germania – che Meloni agitava in aula già mercoledì, ma che in Europa non è nemmeno all’ordine del giorno.

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