Legati nel raggiungere le vette della stagione meloniana, la beffa del caso li ha voluti insieme anche nella caduta, con due vicende giudiziarie diverse ma temporalmente quasi sovrapposte. La ministra del Turismo Daniela Santanchè, al centro di un’inchiesta per guai economici legati alle sue società, e il presidente del Senato Ignazio La Russa, investito dal presunto stupro commesso dal figlio, sono considerati un duo inscindibile.

Insieme formano la colonna milanese del partito di Giorgia Meloni che, ancora chiusa nel suo silenzio, sa di non potersi smarcare da nessuno dei due ma anche quanto pesante sarà il contraccolpo.

Se a Roma non c’è nessuna avvisaglia di dimissioni, infatti, è a Milano che gli effetti rischiano di farsi sentire. Legatissimi tanto da passare insieme le vacanze di Natale ma anche protagonisti di scontri violenti – entrambi sono noti per un carattere fumantino – il duo La Russa-Santanchè è considerato un tutt’uno nella dinamica del partito. Sempre pronti a difendersi e spalleggiarsi, le fortune dell’uno e dell’altra sono andate di pari passo e l’ultima dote portata a Meloni è stata la galoppata trionfale in regione Lombardia.

La campagna elettorale per le regionali li ha visti imperversare: spesso insieme, lei da coordinatrice regionale del partito e lui pronto a sfruttare ogni evento istituzionale nella sua agenda e con il fratello Romano come avamposto. Risultato: il 25 per cento dei voti, FdI primo partito in regione e uno stacco di nove punti dalla Lega, tanto da far recapitare al governatore leghista Attilio Fontana aveva fatto arrivare un messaggio senza margini di fraintendimento: «Si abitui a noi».

Detto fatto: sette assessori in giunta, di cui uno proprio il “fratello di”, Romano La Russa, che non era stato ricandidato per evitare polemiche dopo le immagini del suo braccio teso a un funerale ma che, come da promessa, è stato ricompensato per il temporaneo passo indietro.

La Regione

Ora, però, il sistema di potere lombardo ha perso – almeno temporaneamente - entrambi i suoi punti di riferimento. Ma in politica i vuoti non esistono e per uno spazio che si libera sono subito pronti i pretendenti pronti ad occuparlo. Anche perchè Meloni, che ha impostato la struttura del partito su meccanismi gerarchici fiduciari, ha bisogno di un referente in una regione chiave che rimane avamposto dell’alleato ostile che è la Lega.

Uno è il suo rivale di un tempo, quando ancora entrambi militavano nel Fronte della Gioventù, Carlo Fidanza, su cui però pende un patteggiamento a un anno e quattro mesi con pena sospesa per corruzione e da cui Meloni aveva dovuto prendere le distanze, almeno formalmente, dopo l’inchiesta giornalistica sui finanziamenti della sua campagna elettorale (l’inchiesta giudiziaria è poi stata archiviata) e le sue frequentazioni neofasciste. 

Al Pirellone è dato in grande movimento anche il consigliere di FdI, Mario Mantovani: nome noto alla politica nazionale, si è convertito al melonismo nel 2018. Per vent’anni, però, è stato una delle teste di serie di Forza Italia e proprio questa sua lunga esperienza politica è diventata merce preziosa in un partito come FdI, in endemica carenza di classe dirigente. In Lombardia ha saputo ben mettersi in scia proprio al duo Santanchè-La Russa, ma lo ha fatto potendo contare su una propria autonomia elettorale. Per questo «spadroneggia» in regione, secondo fonti interne al palazzo, e ambirebbe ad essere il nuovo punto di riferimento della premier. 

Anche perchè c’è da difendersi dall’opa ostile della Lega. Il partito di Salvini è rimasto silenziosamente freddo davanti alle vicende giudiziarie dei due esponenti di FdI e in Lombardia punta a riguadagnare spazio e credibilità nei confronti dell’elettorato perduto, sfruttando il momento di difficoltà di FdI per recuperare spazio in giunta.

Del resto, al Pirellone si registra un clima tesissimo: Fontana ha mostrato di essere poco incline a subire in silenzio lo strapotere di FdI e questo si sta traducendo in uno stallo su due partite chiave: la sanità e i trasporti regionali. Proprio su quest’ultima si è scaricato il malessere della giunta, con l’assessore di FdI, Franco Lucente, in polemica con i vertici di Trenord e Fontana in campo per difendere l’azienda. 

Avvisaglie che confermano quello che Meloni già sa: la regione va presidiata, anche a costo di scavalcare Santanchè e La Russa.

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