Nemmeno un fiato arriverà dal Colle, sull’affare del generale Roberto Vannacci. Sergio Mattarella, dal suo ritiro in montagna per qualche giorno di vacanza, continuerà ad osservare in silenzio gli affari della politica e gli affanni del governo. Impensabile che il colle più alto intervenisse sulle esternazioni agostane di un generale, ma il suo è un silenzio che pesa nella misura un cui detta il contegno istituzionale per tutte le alte cariche dello stato. A partire da palazzo Chigi.

Eppure, il libro Il mondo al contrario - distillato di frasi omofobe e sessiste con nostalgie verso famiglie tradizionali, il concetto di patria e i confini – ha mandato in crisi di identità la destra di Fratelli d’Italia. Il partito della premier Giorgia Meloni, infatti, si trova combattuto tra la necessità di agire con decoro istituzionale e la sensazione che le prese di posizione del generale solletichino gli istinti degli ex camerati che rappresentano la sua base elettorale storica. Gli stessi che potrebbero essere attirati dalle sirene di chi - come Gianni Alemanno e Francesco Storace - da ancora più a destra sta difendendo Vannacci e offrendogli candidature e ruoli politici. Di qui l’impasse e, stante l’obbligo del silenzio per Meloni, l’intervento dei fedelissimi Giovanni Donzelli e Tommaso Foti.

A muoversi, invece, continua ad essere il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Il suo intervento, non concordato e autonomo rispetto al Colle, doveva limitare i danni all’immagine delle forze armate. Destreggiandosi con felpatezza democristiana, Crosetto aveva stigmatizzato le esternazioni di Vannacci come inappropriate senza entrare nel merito, ma ricordando che chi indossa la divisa e deve essere percepito come imparziale. Poi aveva lasciato che fossero le gerarchie militari ad agire, con l’apertura di una procedura disciplinare e la destituzione di Vannacci.

Eppure, il fuoco di attacchi indirettamente rivolti a lui da parte del suo stesso fronte politico lo hanno portato ad un ulteriore esercizio di prudenza. «Lungi da me impedire il diritto di opinione di chiunque», ha detto al Corriere della Sera, spiegando che «io il cambiamento di funzioni al generale non l’avrei nemmeno fatto, proprio per spegnere il caso».

Tuttavia ha confermato il perimetro istituzionale in cui si è mosso, con l’intento di sottrarre le forze armate da attacchi generalizzati. Addirittura, Crosetto si sarebbe frapposto anche tra Vannacci e iniziative più drastiche perché «molte persone con cui ho parlato e che poi hanno agito avrebbero preteso molta più durezza. Ma io sono e resto garantista».

Eppure la linea istituzionale è la più complessa da mantenere in casi che interessano più livelli di comando. Crosetto si è mosso in modo autonomo, ma Mattarella è il vertice dell’organo costituzionale che è il Consiglio supremo di difesa. Dunque il caso di Vannacci rientra, seppur indirettamente, nell’orbita del Quirinale.

Gli orientamenti del Colle

Per sapere quanto seriamente il Capo dello Stato consideri le esternazioni di militari di carriera, inoltre, si può ricordare un precedente. Mattarella, infatti, è stato titolare della Difesa dal 1999 al 2001, negli anni del governo D’Alema durante la guerra in Kosovo.

Nel 2000, il generale degli alpini Silvio Mazzaroli, attivo al fronte, rilasciò un’intervista in cui dubitava della bontà delle scelte della politica militare italiana e commentava negativamente il comportamento sul campo degli altri eserciti Nato. Dopo la pubblicazione, Mazzaroli venne destituito dal suo incarico dallo stato maggiore della difesa e Mattarella, in parlamento, commentò dicendo che «giudizi pesanti di quel genere non sono compatibili con la coesione necessaria in condizioni così gravi e così impegnative» e che quindi apprezzava la decisione assunta autonomamente dai vertici militari. Una presa di posizione decisamente più dura di quella dell’attuale ministro, che invece nel caso di Vannacci ha detto che avrebbe evitato l’immediata destituzione.

Al Colle il ruolo di Mattarella è cambiato, tuttavia i suoi orientamenti sarebbero rimasti gli stessi e di questo sarebbe persuaso anche Crosetto, che pure non ha voluto ingigantire la questione aprendo una linea col Quirinale.

Nel frattempo, Vannacci sembra deciso ad abbandonare ogni contegno militaresco. Di intervista in collegamento televisivo, il generale non ha fatto mistero di avere ricevuto lusinghe politiche e di non averle disdegnate.

La vicenda potrebbe quindi concludersi con un soldato in meno e un candidato in più a destra, ma un effetto l’ha già prodotto: mostrare a Meloni che il suo partito ha ancora un’anima nera ma il contegno istituzionale non le permette più di cavalcarla. Con l’effetto di lasciare il campo a Matteo Salvini.

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