La premier elogiata dai vertici di FdI per il riconoscimento Usa della sua proposta di estensione all’Ucraina l’Articolo 5 della Nato. Magi: le condizioni di Putin portano alla resa. Calenda parla di «disonore immediato» se si accettassero cessioni di territorio
C’è un ordine di scuderia dentro il governo. Lo ha dato Giorgia Meloni, non solo con le parole ma con l’esempio. Ai ministri e ai parlamentari della maggioranza la consegna è semplice: rivendicare che «la soluzione per l’Ucraina è vicina. La proposta in discussione è del governo italiano».
Vuole intestarsi l’idea, e in parte ne ha il diritto: l’estensione all’Ucraina di una sorta di “articolo 5” della Nato, il patto di difesa collettiva che vincola i membri dell’Alleanza, senza però concedere a Kiev l’ingresso formale. È questa la «ricetta italiana», come la chiama Palazzo Chigi, ed è questa che ha ricevuto il placet ufficiale degli Stati Uniti.
Un successo politico che la premier sente suo, e che intende spendere fino in fondo. Così a tamburo arrivano le dichiarazioni entusiaste dell'europarlamentare di Fratelli d'Italia-ECR, Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo («tema messo sul tavolo da Trump su proposta di Giorgia Meloni»), del capogruppo dei deputati di Fratelli d'Italia, Galeazzo Bignami («un successo diplomatico per la nostra premier») e del ministro Tommaso Foti, che non risparmia attacchi all’opposizione: «Nei mesi scorsi Giorgia Meloni aveva indicato nell’estensione all’Ucraina del sostegno militare dei paesi Nato lo strumento più idoneo per garantirne la sicurezza. La sinistra nostrana altro non riuscì che a lasciarsi andare a battute disfattiste e denigratorie. Oggi la proposta del nostro presidente del Consiglio trova ampio seguito internazionale e apre uno spiraglio per una pace giusta e duratura. Ma la sinistra critica ancora. Non le riesce mai di giocare con la maglia dell’Italia? Che le piaccia di più quella dell’Urss indossata da Lavrov?».
IlverticeinAlaskaChi tace
Non tutti però hanno eseguito l’ordine. Dalla Lega è arrivato un silenzio eloquente: i dirigenti di via Bellerio evitano di intestarsi un piano che li posiziona in una postura strettamente anti-Putin, temendo anche l’effetto su un elettorato sensibile ai temi della sovranità e dell’antieuropeismo. Da Forza Italia, invece, la voce è rimasta flebile: il partito rivendica continuità atlantista, ma non intende concedere a Meloni il monopolio della politica estera, per non oscurare il ruolo di Antonio Tajani.
Ma il giocattolo della propaganda meloniana si è rotto sul tavolo della riunione in videoconferenza della coalizione dei Volenterosi. L’incontro serviva a preparare la giornata di oggi e nell'introdurre i colloqui, il presidente francese ha insistito ancora una volta sulla sua linea, «mantenere la pressione» sul presidente russo Vladimir Putin. Meloni ha giocato la carta del rapporto privilegiato con Trump. Con scarso successo.
Il punto debole di Meloni
Emerge così il punto debole della narrazione di Meloni: mentre Roma punta sulla rilevanza politica della sua proposta e sulla visibilità internazionale, Parigi insiste che la vera sicurezza non è in nuove formule simboliche, ma nelle capacità militari ucraine e negli impegni già formalizzati. E mentre il governo esalta il piano, le opposizioni suonano l’allarme.
Riccardo Magi, segretario di Più Europa, mette in guardia: «Le condizioni poste da Putin non portano alla pace ma alla resa dell’Ucraina. L’Ue deve presentarsi unita accanto a Zelensky. Speriamo che anche Giorgia Meloni tenga il punto e non ceda miseramente alle fandonie che racconterà Trump». Poi l’affondo: «L’Italia non può permettersi di sfilarsi dal blocco europeo. Dalla resistenza ucraina passa la libertà dell’Europa». «Se domani i leader europei accetteranno piani che prevedono la cessione di territori a Putin avremo "la Monaco" dei nostri tempi. Il disonore arriverà subito e la guerra poco dopo», scrive su X il segretario di Azione Carlo Calenda.
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