Il ministero della Giustizia ha detto no alla modifica del regime di carcere duro per l’anarchico Alfredo Cospito. Il detenuto, in sciopero della fame da 111 giorni, può ora sperare solo nella Cassazione, all’udienza del 24 febbraio. Con questa decisione il guardasigilli Carlo Nordio ha caricato il suo dicastero di tutto il peso del caso, a maggior ragione se Cospito porterà la sua protesta alle estreme conseguenze.

Politicamente, la scelta era scontata. Tutta la maggioranza e soprattutto la premier Giorgia Meloni si sono schierati con forza sulla linea dura, accusando anche l’opposizione di connivenza con mafia e terrorismo per la visita in carcere a Cospito. In un clima del genere era improbabile che Nordio potesse assumere autonomamente una posizione diversa.

Tuttavia, non era scontato che la scelta gravasse solo su di lui. Proprio all’indomani del consiglio dei ministri in cui aveva riferito sulle condizioni di Cospito, infatti, il ministro aveva detto che «vista la valenza politica del caso», la decisione sull’istanza sarebbe stata presa passando per un nuovo cdm. Una mossa, questa, che avrebbe diluito il peso della scelta, intestandola all’intero governo. Invece questo passaggio collegiale alla fine non c’è stato. Secondo fonti ministeriali, il ministro avrebbe valutato che la discussione politica di questi giorni abbia esaurito a monte la necessità di un passaggio in cdm.

In concreto, tuttavia, l’effetto è quello di scaricare su di lui la responsabilità oggettiva del caso, che già gli è costato molto in termini di credibilità. Nordio, infatti, ha dovuto intervenire in difesa del suo sottosegretario Andrea Delmastro, che ha ceduto al compagno di partito Giovanni Donzelli le carte riservate del Dap sulle conversazioni in carcere tra Cospito e i detenuti mafiosi con cui condivideva l’ora d’aria. Ora, con questo rigetto, mette la firma su un atto che non può essere considerato solo tecnico-giuridico.

Il parere dell’Antimafia

Per argomentare la linea della fermezza sposata dal governo, Nordio ha utilizzato solo parzialmente i pareri - obbligatori ma non vincolanti - della magistratura. Tutti hanno ritenuto infondato l’elemento di novità che l’avvocato di Cospito ha utilizzato per promuovere la richiesta. Ovvero, una sentenza della corte d’assise di Roma a carico di altri anarchici, in cui stabiliva che non esisteva un nesso tra gli scritti di Cospito (spediti dal carcere e alla base del 41 bis nei suoi confronti) e le azioni violente degli imputati. Nei loro pareri, la procura generale di Torino, la direzione distrettuale di Torino e la Direzione nazionale antimafia hanno ribadito anche la «pericolosità sociale» dell'anarchico. Tanto è bastato a via Arenula, che però ha ribadito che la tutela della salute del detenuto va salvaguardata. 

Ancorandosi strettamente alle argomentazioni del legale, il ministero ha scelto di tenere in secondo piano invece un passaggio importante del parere della Direzione nazionale antimafia guidata da Giovanni Melillo, che è la massima autorità nazionale in materia di terrorismo. La Dna, infatti, rimettendo esplicitamente la valutazione all’autorità politica, ha scritto che per contenere Cospito è «idoneo» anche il regime dell’alta sorveglianza, ovvero la misura detentiva che prevede condizioni di poco inferiori per rigidità a quelle del 41 bis. 

Tradotto: Nordio aveva l’appiglio giuridico per scegliere diversamente e spostare Cospito in un regime di detenzione diverso, con conseguente interruzione dello sciopero della fame. Invece, nel rigido formalismo ministeriale, ha ritenuto di rigettare la richiesta limitando la sua valutazione sull’inesistenza delle nuove ragioni presentate dall’avvocato. Pur senza la copertura politica di un consiglio dei ministri e distanziandosi anche dall’orientamento dell’Antimafia, Nordio ha preso una scelta ampiamente attesa, visto il clima incandescente intorno al caso. Tuttavia, nel gioco dello scaricabarile, la responsabilità futura peserà tutta sul suo dicastero, su cui grava anche l’indebita fuoriuscita di documenti riservati del Dap su cui ora indaga la procura di Roma.

Ora è la realtà a prendere il sopravvento: Cospito non intende più assumere integratori, ha perso quasi cinquanta chili e non dà segni di voler interrompere lo sciopero. Il suo avvocato ha annunciato un improbabile ricorso contro la decisione di Nordio, ma la strada è segnata, manca solo la Cassazione.

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