Venerdì, la neopremier Giorgia Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz si sono sentiti per la prima volta al telefono. Secondo la comunicazione di palazzo Chigi, hanno parlato della guerra in Ucraina, della crisi energetica e dei flussi migratori. Uno scambio di routine tra due partner europei, sembrerebbe. Per vedere come si svilupperà la collaborazione tra i due sul piano europeo, dove c’è da gestire il dossier energetico e quello della crisi sociale, bisognerà aspettare, ma il primo appuntamento tra i due non nasce sotto una buona stella. 

Scholz da socialdemocratico aveva sostenuto alle elezioni il Pd di Enrico Letta. Il segretario generale della Spd Lars Klingbeil in una conferenza stampa con il segretario dimissionaria aveva definito il partito di Meloni «postfascista», una presa di posizione scontata, vista la collocazione dalla parte opposta dell’emiciclo rispetto a FdI dei socialdemocratici, ma interpretata comunque dalla destra come un’ingerenza inopportuna nella politica nazionale. 

La destra tedesca, invece, è spaccata. Mentre il fatto che Forza Italia da membro del Ppe e quindi sostenuta dal presidente Manfred Weber, membro dei conservatori bavaresi, aveva irritato il mondo della Cdu, Meloni si è guadagnata con la vittoria alle elezioni il plauso del partito di estrema destra AfD. «Festeggiamo con l’Italia!» aveva scritto Beatrix von Storch, volto di prima fila del partito, mentre la leader Alice Weidel twittava: «Congratulazioni a Giorgia Meloni per la vittoria elettorale in Germania. Dopo la Svezia, anche in Italia ci si rende conto che i cittadini vogliono una politica ordinata e borghese». AfD, che in patria sta guadagnando consensi rispetto alle ultime elezioni, quando aveva preso il 10 per cento, spera di cavalcare il clima favorevole alle destre estreme: tuttavia, a livello europeo resta alleata di Matteo Salvini in Identità e democrazia. 

La linea di Meloni 

Meloni, da parte sua, non aveva negato negli anni attenzioni a Berlino, spesso e volentieri primo motore – a parere della premier – di affronti contro l’Italia. 

Per avere un’idea del clima che ci sarà tra i due capi di governo, basta ripercorrere le dichiarazioni di Meloni negli ultimi anni. Nel 2014, quando Fratelli d’Italia era appena nata e ancora condivideva il nome con Alleanza Nazionale, Meloni in un comizio elettorale a Piacenza spiegava che «l’Euro è un Marco tedesco che rafforza la Germania» e che «lo spread durante il governo Berlusconi è stato fatto alzare dalla Deutsche Bank». Inoltre, «la crisi è stata indotta dai tedeschi per rimuovere un governo poco compiacente» e «Monti ha fatto tutti i compiti a casa che voleva la Germania», fino a concludere con un diplomatico «stiamo tirando la carretta dei tedeschi».

Erano altri tempi, ma anche più di recente, nel 2019, Meloni non aveva parole tenere per i partner d’Oltralpe. Oltre a definire Giuseppe Conte «maggiordomo dei tedeschi», la neopremier aveva scelto come nuovo obiettivo il Meccanismo europeo di salvataggio, la cui riforma sarebbe dovuta essere approvata proprio a fine anno. «La vera minaccia per l’Ue sono i titoli tossici delle banche tedesche che la Germania vorrebbe salvare coi soldi di tutti gli europei. Dire no al Mes significa inchiodare la Germania di fronte alle sue responsabilità». 

Anche nel 2020 Meloni non risparmiava critiche al governo conservatore di Angela Merkel che era al potere in tutte le occasioni che abbiamo citato finora: due anni fa, la leader di FdI polemizzava con i ricorsi alla Corte costituzionale tedesca sulla legittimità degli strumenti di debito comune impiegati per affrontare la crisi pandemica. «Solo a Fratelli d'Italia sembra inaccettabile che le sorti dell'Italia e dell'intera Europa siano decise in totale autonomia dalla Germania attraverso la sua Corte Costituzionale? Se ad altri sta bene vivere da servi tedeschi problemi loro, noi difenderemo la libertà e la sovranità del popolo italiano».

Dopo il voto

Oggi, tra l’altro, FdI sembra aver cambiato linea su questo punto, visto che all’indomani del voto il neoministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida già tuonava per cambiare la Costituzione sul punto della sovranità tra diritto nazionale e diritto comunitario. «Il principio della sovranità del diritto comunitario su quello nazionale è oggetto di dibattito anche in altri paesi. In Germania la Corte costituzionale ha affermato che, fra i due sistemi normativi, prevale sempre quello che più tutela la popolazione tedesca. È un concetto che dovrebbe essere oggetto di riflessione» ha detto in un’intervista a Repubblica.

Ma dopo il voto anche Meloni stessa ha continuato a battere – certo, con altri toni – sull’atteggiamento di Berlino nell’ambito dell’Unione europea. Alla presidente del Consiglio non è andato giù il Doppelwumms, il tetto nazionale al prezzo del gas che Scholz ha presentato a fine settembre, guadagnandosi l’ostilità dei partner europei che invece spingevano per una soluzione condivisa, incluso Mario Draghi. «Azioni di singoli Stati tese a sfruttare i propri punti di forza rischiano di interferire nella competitività delle aziende e creare distorsioni nel mercato unico europeo» scriveva Meloni sui suoi social il 4 ottobre.

Un intervento più diplomatico: per ritrovare la sua vena più polemica basta aspettare però la replica della presidente del Consiglio alla discussione generale sulla fiducia a Montecitorio, in un passaggio sulla sua futura linea di politica estera. «Non sono i sovranisti che comandano in Europa: si cita sempre Orban, ma l'atteggiamento della Germania di queste settimane come lo chiamiamo? Quello è europeismo? Non devo fare nessuna scelta, la mia scelta è sempre e solo difendere l'interesse italiano, non farò mai la cheerleader di nessuno».

Ora, nonostante il passato, Meloni dovrà lavorare con l’uomo che rappresenta il paese che più di ogni altro ha indicato come responsabile dei problemi italiani. Ma più che collaborare con lui, potrebbe interessarle sostituire Berlino nel rapporto preferenziale con Parigi, sfruttando le crepe che si aprono sempre più vistose nel rapporto tra Francia e Germania. 

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