C’è un filo conduttore che unisce i principali guai che il governo Meloni deve affrontare, approvazione del Mes e i problemi del Pnrr. Si tratta del conflitto tra il terrore di perdere la faccia (e gli elettori) e la necessità di tenere buoni rapporti con Bruxelles. Un equilibrio che si sta rivelando sempre più difficile mantenere e che potrebbe presto iniziare ad aver conseguenze serie non solo per il governo, ma anche per il paese.

Mes rinviato

Ieri, la maggioranza ha formalizzato quello che già tutti sapevano. Il prossimo 5 luglio il voto sulla ratifica del trattato che riforma il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) sarà rinviato di 4 mesi. «Non è questo il momento di votare il Mes», aveva detto Meloni mercoledì durante le sue comunicazioni al parlamento prima del Consiglio europeo. Sconfitti gli oltranzisti, soprattutto leghisti, che volevano portare il Mes in aula per bocciarlo definitivamente, Meloni prende tempo e cerca di trovare una soluzione per non rompere con l’Europa.

L’Italia è l’ultimo paese dell’eurozona che non ha ancora ratificato il trattato e l’impazienza di Bruxelles sta crescendo. Ma la Meloni filo europea di oggi non vuole rinnegare completamente la Meloni sovranista che non molto tempo fa definiva «tradimento» l’ipotesi di cedere ai burocrati di Bruxelles sul trattato. E, terrorizzata dai rapporti di forzi interni alla sua coalzione, non vuole abbandonare a Salvini il terreno dell’euroscetticismo.

Salvare capra e cavoli, però, è difficile. A parole, Meloni dice di voler portare avanti una logica «a pacchetto» ossia «nel quale le regole del patto di stabilità, il completamento dell’Unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutano nel loro complesso, nel rispetto del nostro interesse nazionale». Tradotto, è una disperata richiesta all’Europa affinché le concedano uno strapuntino su uno qualunque degli altri dossier, in modo da consentirle di salvare la faccia e acconsentire finalmente al voto sul Mes. Sempre che i leghisti glielo consentano.

Ufficialmente, l’Europa si mantiene dialogante e diplomatica. «Il trattato di riforma del Mes è centrale nei nostri sforzi e continueremo a dialogare con l’Italia su questa e altre materie», ha commentato questa settimana Pascal Donohoe, il presidente del potente consiglio dei ministri delle finanze dell’eurozona. Ma dietro le quinta, i funzionari ripetono instancabilmente che questa strategia non porterà da nessuna parte.

Pnrr

Guai anche solo a suggerire che le due questioni possano essere collegate, ma nel frattempo non si è ancora conclusa la saga della terza rata del Pnrr. Ben 19 miliardi di euro che il governo si attendeva per la fine di febbraio e che sono ancora bloccati da Bruxelles. Anche qui, a parole sembra tutto tranquillo: «Arriverà in tempi brevi», ripete da mesi il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni. «Questione di ore», assicurava dieci giorni fa il ministro degli Affari europei Raffaele Fitto.

Intanto però il versamento non arriva e al ministero dell’Economia iniziano a essere preoccupati per il fabbisogno. Perché sui quei 19 miliardi ci contavano per pagare i conti pubblici. Questa settimana, via XX settembre ha già avvertito che il deficit nei primi cinque mesi dell’anno è stato più alto del previsto anche a causa del mancato arrivo dei miliardi promessi. Per ora tutto è ancora sotto controllo: il ministero punta a emettere 118 miliardi di euro di debito pubblico tra luglio e fine anno, in linea con quanto previsto a dicembre, anche se nella parte più alta della stima. 

Ma se l’arrivo dei 19 miliardi dovesse tardare ancora e se dovessero esserci problemi anche con la quarta rata, che dovrebbe essere consegnata nei prossimi giorni, il Tesoro dovrà rivedere i suoi piani per garantire liquidità alla pubblica amministrazione.

La faccia di Meloni

Anche qui, però, ci sarebbe di mezzo la trappola reputazionale in cui si è infilata Meloni. Secondo il quotidiano il Foglio, Bruxelles avrebbe offerto una facile via di fuga al governo. Versare un acconto della terza rata e tenere bloccate solo le risorse destinate ai programmi su cui Bruxelles è ancora scettica (il tema asili e quello alloggi per studenti). Ma Meloni avrebbe rifiutato l’offerta: accettare un acconto sarebbe come ammettere il fallimento nel prepare piani adeguati. Meglio attendere ancora e sbloccare tutto insieme quando, e ormai “se”, il governo sarà in grado di esaudire le richieste di Bruxelles.

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