Nessuna tregua della propaganda governativa nemmeno in tempi di guerra. Dalle parole del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari alla visita alla sinagoga della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, la strategia è chiara: il conflitto tra Israele e Palestina non deve essere de-politicizzato, sul piano nazionale, alla ricerca di un’ipotetica unità con le opposizioni.

Prospettiva che peraltro sembra tramontata in poche ore. L’obiettivo della destra è quello di puntare sui temi identitari e incunearsi tra le divisioni degli avversari, palesate dalle difficoltà sull'accordo per la risoluzione alla Camera. E che ha dato un assist per la rottura del progetto di «unità nazionale».

Tolleranza zero

La premier ha dettato la linea con la decisione di andare alla sinagoga di Roma per porgere la solidarietà personale e del governo alla comunità ebraica. «Difenderemo i cittadini da ogni forma di antisemitismo vecchia e nuova», ha scandito Meloni, rilanciando il «diritto all’esistenza e alla difesa di Israele». A chiudere il cerchio l’allarme lanciato del «rischio emulazione di quanto è stato fatto da Hamas».

La soglia di allarme cresce, dunque. L’incontro di un’ora con il rabbino capo Riccardo Di Segni è servito a rafforzare il concetto, che è stato ripetuto in ogni modo: nessuno spazio all’estrema destra dalle nostalgie antisemite.

Altrimenti scatta la tolleranza zero: la professione di vicinanza a Israele deve essere granitica. Il messaggio è stato recapitato a tutti i livelli, dai ministri all’ultimo dei dirigenti del partito. Prova ne è il caso di Francesco Attolini, militante di Fdi di Busto Arsizio, messo alla porta per aver postato sui social una figura stilizzata di Adolf Hitler nel giorno degli attentati di Hamas.

La scelta di visitare la sinagoga ha portato di converso a un’altra azione simbolica: la mancata presenza alla celebrazione dei 70 anni dell’Eni, azienda che ha radicati interessi economici nei Paesi arabi. La premier si è limitata a un videomessaggio di saluto.

Fazzolari apripista

E che la guerra potesse diventare carburante per lo storytelling della destra era stato messo in chiaro da Fazzolari. Il sottosegretario ha rilanciato un evergreen di Fratelli d’Italia: l’equazione immigrazione-terrorismo. Meloni ha solo fatto un velato riferimento alla questione, il suo stratega politico ne ha parlato espressamente.

Sostenendo che le organizzazioni islamiste potrebbero spedire in Europa i loro attentatori sui barconi.  «I terroristi hanno più facilità a entrare e anche per questo è necessario bloccare le partenze dal Nord Africa», ha infatti affermato il potente sottosegretario nell’intervista al Corriere. Poco conta che le sigle del terrore non farebbero ricorso a mezzo di fortuna come le navi cariche di migranti. Al cospetto della reazione emotiva sui fatti avvenuti in Israele, il messaggio può attecchire, soffiando sulle paure all’insegna della tradizione comunicativa della destra. 
Un salto di qualità immediato nel confronto politico, che ha indebolito l'opzione della concordia nazionale, in Italia, dopo l’attacco di Hamas allo stato di Israele. Non è nemmeno finito il momento di solidarietà che è scattata la grancassa della destra anti-immigrazione pronta a far ricorso al solito bagaglio di critiche alla sinistra lassista. 

L'argomento fa proseliti nella Lega, a cominciare dal leader, Matteo Salvini. Ai tempi del primo governo Conte, quando era al Viminale, lo aveva già sostenuto: «È concreto il rischio che possano arrivare centinaia di terroristi islamici», disse in riferimento all'impennata di sbarchi dalla Libia. Ora arriverà secondo, il territorio è stato già marcato da Fratelli d’Italia.

E il pensiero di Fazzolari trova la traduzione politica a Palazzo Chigi. Non è un mistero che Meloni sia molto sensibile ai ragionamenti del sottosegretario, che ha spesso elaborato strategie di alleanze internazionali. Le parole non sono dal sen fuggite, rappresentano una profonda convinzione dentro Fdi. La premier, del resto, si sta muovendo a più livello sui tavoli europei alla ricerca di una soluzione sulla gestione dei flussi migratori. Uno sbocco che non si scorge all’orizzonte.

Praterie di propaganda

Nei prossimi giorni la presidente del Consiglio riproporrà il discorso: serve uno stop alle partenze, anche in nome dell’allerta terrorismo islamico. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha dovuto fare i conti con questo approccio: «Monitoriamo sempre quello che accade», ha detto commentato. 

«È ovvio – ha aggiunto il numero della Farnesina - che nei momenti di tensione bisogna verificare che tra i migranti non ci siano terroristi che cercano di entrare in Europa nascondendosi tra i disperati che fuggono dalla guerra». Toni più prudenti, ma con un finale simile: l’idea che i jihadisti possano infilarsi tra i disperati alla ricerca di un approdo in Occidente.

La macchina della propaganda non si ferma dunque di fronte alla guerra. Vale per la Palestina e vale per l’Ucraina. Anzi, la linea governativa è quella di mescolare i conflitti che toccano l’Occidente più da vicino. Il sottosegretario ha indossato i panni del falco, bacchettando gli alleati di Zelensky, che a suo dire hanno evitato «di inviare ciò che avrebbe potuto far pendere velocemente la bilancia a favore di Kyiv».

Parole che sembrano avere la Germania come bersaglio e che favoriscono la sinergia con la Casa Bianca sul piano internazionale. Il risvolto tutto italiano è quello di pungolare il centrosinistra che sul sostegno militare all’Ucraina ha più di qualche problema.

La politicizzazione della vicenda israeliana non ha però provocato reazioni a sinistra, né attraverso la tradizionale batteria di note stampa né sui commenti social. Gli umori nel Partito democratico e Alleanza verdi sinistra non sono di quelli intenzionati a ingaggiare una polemica.

«È un momento troppo serio per dedicarsi a quello che dice Fazzolari o alla propaganda del governo», è il ragionamento consegnato in Transatlantico a Domani da più di qualche deputato di opposizione. Forse anche un modo per esorcizzare le divisioni nell’ex campo largo, mentre la destra scorrazza nelle praterie della propaganda.

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