Il suo abbaglio è stato quello di scambiare la Sicilia per una provincia. Magari più grande di quella di Catania della quale è stato presidente, ma sempre una provincia. Un errore di prospettiva che l’ha fatto diventare un governatore, per l’appunto, un po’ “provinciale”, non sempre in grado di gestire – e di capire – la complessità di un’isola che, come si sa, non è neanche un’isola qualunque.

Di amici negli ultimi cinque anni ne ha trovati pochi, nemici tanti. Troppo ondeggiante Sebastiano Musumeci detto Nello, troppa la distanza fra quello che gli esce dalla bocca e quello che fa. Come giovedì con la storia delle dimissioni a sorpresa (a sorpresa?) da presidente della regione. In quasi 9 minuti di video postato su Facebook non ha mai pronunciato la parola “dimissioni” ma ha annunciato che i siciliani voteranno per le regionali il 25 settembre, lo stesso giorno delle elezioni politiche.

L’arte del dire e non dire

Un capolavoro del dire e non dire. Tipico di lui. Naturalmente è pronto a succedere a sé stesso anche se quasi nessuno a destra lo vuole. Ma sfruttare l’effetto delle nazionali era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare.
Non si è smentito fino all’ultimo il “fascista galantuomo” con origini a Militello Val di Catania (è nato lì anche Pippo Baudo), ex impiegato di banca, giornalista pubblicista, una fissazione per i borghi rurali del Ventennio e un’altra per i cavalli, tanto da avere finanziato con eccessiva generosità una “stazione equina” a pochi chilometri dal suo paese.

A quindici anni è nella Giovane Italia, a trentanove in Alleanza nazionale e siede nel parlamento europeo. In mezzo si cuce addosso la fama del “duro e puro” e del “politico senza macchia”, propaganda noiosa visto che nel 2017 è finalmente governatore a capo della lista Diventerà bellissima con il sostegno di Totò Cuffaro e di Raffaele Lombardo, compresi tutti quegli altri ras della politica siciliana più compromessa.

Un narciso che parla bene

Narciso, particolarmente incazzoso nonostante la pacatezza mostrata in pubblico, la sua forza è sempre stata la parola. Il piccolo ritratto che ne ha fatto Francesco Storace, l’ex presidente della regione Lazio suo ex compagno di partito: «Se c’è un dispetto che si possa fare a un uomo politico è quello di farlo parlare dopo Musumeci».

Il cameo dello scrittore e politologo Marcello Veneziani: «Finalmente un galantuomo che non prende il pizzo, perché ce l’ha già sotto il mento. Ottimo amministratore, indenne da macchie infami, grande oratore assai amato e votato».
Fra un tentativo e l’altro di prendere possesso della della regione, Sebastiano Musumeci nel 2012 è il presidente della commissione Antimafia di palazzo dei Normanni. Non si accorge di niente di ciò che accade intorno a lui. Il governatore è Rosario Crocetta ma il padrone della regione è il cavaliere Calogero Montante, il vicepresidente di Confindustria. Crocetta è solo il suo pupo.

Musumeci da presidente dell’Antimafia incontra Montante indagato per mafia. Tutto normale per il "fascista galantuomo” che, qualche tempo dopo, si presenterà alla procura di Caltanissetta per spiegare che alla regione non c’era un «sistema Montante» quanto piuttosto un «sistema Lumia», da Giuseppe Lumia, senatore del Pd con le mani in pasta un po’ dappertutto.

Ai piedi di Marcello Dell’Utri

Ed è arrivata l'ora della resa dei conti: i cinque anni passati e il "problema” della sua ricandidatura. Segnali assai poco incoraggianti per Musumeci. Il primo a scagliarsi contro di lui è stato il presidente del parlamento regionale Gianfranco Micciché. Poi, piano piano, anche altri gli hanno fatto capire che non era aria di un Musumeci bis.

Già la primavera era cominciata male. Quando una mattina Nello è andato a inginocchiarsi ai piedi del senatore Marcello Dell’Utri – sì, proprio l’amico di Silvio Berlusconi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa – per chiedergli aiuto per essere rieletto a governatore. Ed è continuata peggio quando un incontro riservato al Pala regione di Catania si è trasformato nel ritorno trionfale di Totò Cuffaro, che ha avuto un faccia a faccia con Nello in compagnia di una folta delegazione della Nuova democrazia cristiana. Mosse vane.
Nelle ultime settimane non gli è stato utile il rapporto diretto con Giorgia Meloni né le clientele coltivate attraverso il suo assessore alla Sanità Ruggero Razza, quello a processo per i falsi dati Covid per evitare chiusure e zone rosse, rimesso al suo posto proprio da Musumeci nonostante le gravi accuse. Si è intestardito, non ha mai mollato ben sapendo che la sua candidatura, con gran parte del centrodestra siciliano ostile, non sarebbe stata vincente. Così sono arrivate le sue dimissioni annunciate ma non dichiarate.

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