Non è stato un fulmine a ciel sereno per i parlamentari. Il diktat «emendamenti zero» alla manovra era stato già annunciato e ripetuto negli incontri con i capigruppo di centrodestra. Solo che, appena lo hanno ascoltato in pubblico, ha fatto un certo effetto. «Confido che il parlamento eviti emendamenti», ha scandito il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, esplicitando quanto era stato già anticipato da Domani. E ha trovato la piena concordia del leader del suo partito, Matteo Salvini, gongolante per aver portato a casa le risorse per il Ponte sullo stretto e per il taglio del canone Rai. Si va avanti «senza emendamenti di maggioranza», ha confermato il vicepremier. Le prerogative dei parlamentari possono attendere.

Mugugni e giustificazioni

Deputati e senatori della maggioranza speravano che il proposito non fosse esplicitato ai quattro venti, in conferenza stampa. Ma la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha costruito una tela per dare un contentino ai i partiti e garantirsi il supporto degli altri leader della coalizione. Il risultato è «un vero e proprio colpo alla democrazia», secondo la definizione di Peppe De Cristofaro, capogruppo dell’Alleanza verdi-sinistra al Senato. Il problema esiste. «Se il parlamentare risponde non al popolo sovrano, ma solo al capo partito sovrano, come farà a recuperare la sua autonomia di legislatore?», dice a Domani Pino Pisicchio, ex decano del Transatlantico con varie legislature a Montecitorio alle spalle e oggi docente di diritti pubblico all'Unint di Roma.

Le reazioni in privato nel centrodestra sono improntate all’amarezza. «Ma davvero è stata ufficializzata questa cosa?», dice, rigorosamente off the record, un parlamentare di Forza Italia. Il malumore è diffuso. «Effettivamente si sta esagerando», è una delle frasi mormorate pure dai più cauti all’interno della maggioranza, Lega compresa. Ci sono i territori da soddisfare, qualcosa da rivendicare già nella prossima campagna elettorale quando si dovrà chiedere il voto ai cittadini per le Europee. La deriva potrebbe essere quella della demotivazione dei parlamentari.
All’interno di Fratelli d’Italia nessuno si espone, ma nei conciliaboli con i colleghi di maggioranza c’è chi ha espresso qualche perplessità sulla blindatura totale della legge di Bilancio. E lo si capisce dal fatto che pochi hanno voluto metterci la faccia sulla scelta di Palazzo Chigi. Il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Lucio Malan, è stato tra i pochi a farsi sentire, indossando i panni del pompiere. Così ha riferito che si punta all’approvazione della manovra «prima di Natale». Un'arrampicata sugli specchi, visto che ci sarebbero i tempi per il via libera entro le festività con un iter tradizionale. Quindi con i parlamentari che presentano emendamenti.

Equilibrismo e tecnicismo

Un equilibrismo da trapezista è stato tentato dal presidente dei deputati di Forza Italia, Paolo Barelli. «Il parlamento rimane centrale, ma oltre alla legge di Bilancio ci sono il collegato e il decreto fiscale, dove ci sarà spazio per gli emendamenti», ha detto incalzato dai cronisti in Transatlantico, cercando allo stesso tempo di placare i malumori tra gli azzurri. Resta una porticina aperta sul provvedimento-gemello della manovra. «È importante che la maggioranza dia un messaggio di coesione all'interno e all'esterno», ha aggiunto Barelli per allinearsi al mantra del centrodestra. La butta sul tecnico, invece, il presidente della commissione bilancio del Senato, Nicola Calandrini (Fratelli d’Italia): «Mi atterrò al regolamento di contabilità e finanza pubblica, mi muovo sul terreno dell’ammissibilità», ha detto all’AdnKronos. Solo che la vicenda ha poco di tecnico: è tutto molto politico. Le opposizioni hanno reagito con stupore e irritazione all'ordine di Giorgetti, Salvini e Meloni e reti unificate. Il Movimento 5 stelle punta il dito contro il Mef. «Giorgetti invoca il Parlamento a lavorare meno e malamente?», chiede Daniela Torto, capogruppo del M5s in commissione bilancio a Montecitorio.

Umore simile nel Pd: «Si invita il Parlamento all’autosabotaggio», ha osservato il senatore dem, Alberto Losacco. L’analisi nel centrosinistra si concentra dunque sull’ennesima forzatura di Meloni: se fosse stata compiuta da altri governi, Fratelli d’Italia avrebbe fatto le barricate, denunciando una lesione dei principi democratici. Ora che è al governo sono cambiate le cose. Si può procedere anche a strappi, silenziando gli onorevoli come mai capitato. «Il parlamento – conclude Pisicchio - è ridotto al ruolo di organo di ratifica punto e basta, e guai a disturbare il manovratore che è al governo».

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