Sono poco meno di cinquanta i parlamentari che Beppe Grillo vuole tagliare fuori dalle liste elettorali del Movimento 5 stelle. Oggi ha ribadito il limite dei due mandati e di fatto ha dettato la nuova linea del Movimento: tutto cambi perché tutto torni come prima. Anche se al presidente Giuseppe Conte, che rischia di rimanere senza contiani, la linea non piace.

Al fianco del fondatore ci sono gli eletti della prima ora considerati duri e puri, tra cui Danilo Toninelli, che per primo ha dimostrato la sua fedeltà: è pronto a lasciare la poltrona per far tornare il M5s «sé stesso», quello contrario ai politici di professione e con il desiderio di aprire il parlamento come una scatoletta di tonno. E dalla Russia apre a un grande ritorno anche Alessandro Di Battista.

Il video di Grillo

Il fondatore ha parlato con un video arrivato all’improvviso ieri mattina. Dopo l’immagine della colla su WhatsApp e i post profetici, questa volta Grillo è stato chiarissimo: «Siamo in un momento caotico e potremmo essere morti tra 15 giorni», ha detto, «ma i nostri due mandati sono luce in questa tenebra incredibile, sono l’interpretazione della politica come un antibiotico». Quasi «un servizio civile», spiega nel suo video intitolato “Un cuore da ragionere” che mima il «cuore di banchiere» del premier dimissionario Mario Draghi.

La regola pentastellata dei due mandati, ha proseguito, «dovrebbe diventare legge di stato, l'Italia lo merita come una legge contro i cambi di casacca, si merita una legge elettorale con sbarramento, una per la sfiducia costruttiva. Non siamo riusciti a farle, mi sento colpevole anch'io, però abbiamo di fronte qualcosa di straordinario: sono tutti contro di noi», e quando è così «vuol dire che abbiamo ragione» ha concluso nel video.

Gli esclusi

La lista dei parlamentari che rischiano di rimanere fuori dal parlamento è lunga. Si va dalla senatrice Paola Taverna, all’ex ministro della Giustizia e deputato, Alfonso Bonafede. Dalla ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone, al ministro per i Rapporti con il parlamento Federico D’Incà, quest’ultimo tra i più alacri mediatori perché il Movimento non rompesse col Pd e votasse la fiducia a Mario Draghi. Nel novero ci sono anche la vice presidente della Camera, Maria Edera Spadoni, il sottosegretario alle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri, l’ex ministra della Salute Giulia Grillo.

Una nota a parte meritano quattro parlamentari: il presidente della Camera, Roberto Fico, il presidente della Commissione Industria Gianni Girotto, la mamma del Reddito di cittadinanza, Nunzia Catalfo ex ministra del Lavoro, e Riccardo Fraccaro, l’ideatore del Superbonus che è diventato l’oggetto dello scontro aperto tra Draghi e i pentastellati. Per loro ancora si parla dell’ipotesi di una qualche deroga che pure le parole di Grillo sembrano escludere. Fico sembrava un intoccabile, mentre gli altri tre sono stati recentemente elogiati dal profilo Instagram dell’ “Elevato” per il loro lavoro al governo e in parlamento. Davvero caccerà anche loro? Girotto risponde: «L'argomento non mi interessa, non lo sto minimamente seguendo».

Il quasi ritorno di Di Battista

Di Battista, is back, è tornato, o quasi. In giro in Russia a produrre reportage per ora è tornato a fare sognare i pentastellati di una volta anche lui con un video. Lui ha alle spalle un mandato solo, e oggi che ha «passato i 40 anni» potrebbe riproporsi per un secondo, magari al Senato. Lì dove vuole candidarsi il nemico di sempre: Silvio Berlusconi.

Di Battista aveva già detto che se il Movimento 5 stelle avesse lasciato il governo Draghi, si sarebbe potuto aprire anche un dialogo, e ieri non ha chiuso la porta, anzi: «Non sono disposto a entrare in parlamento rinunciare alla libertà» ma «vedrò quello che succede nei prossimi giorni». Secondo l’Huffington Post è in costante contatto con l’ex sindaca di Roma Virginia Raggi.

Il silenzio di Conte e “Giggino cartelletta”

Conte, si era detto pronto a mettere ai voti questa importante decisione, ma Toninelli dice sarebbe un trucco per non mantenere il limite dei due mandati. La proposta di Conte era arrivata poco prima che Luigi Di Maio e un gruppo di parlamentari decidessero di formare un gruppo a parte e mettesse di fatto il Movimento in imbarazzo qualora volesse procedere a deroghe. Grillo nel suo video non ha dimenticato nemmeno questo passaggio, chiamandolo “Giggino ‘a cartelletta”: «C'è gente che entra in politica per diventare una cartelletta. “Giggino a cartelletta” adesso è là che aspetta di archiviarsi in qualche ministero della Nato».

Il ritardo

Senza che la scelta sul doppio mandato venga formalizzata, la campagna elettorale non può cominciare e soprattutto non si possono fare le liste. Sulla carta la scadenza è il 22 agosto, ma la verità è che la decisione potrebbe essere obbligatoria anche prima. Infatti il simbolo deve essere depositato entro il 14 e il proprietario è Beppe Grillo, lui che può decidere le sorti dei pentastellati e tenere sotto scacco Conte.

Intanto dalla periferia, che ormai si sta allontanando sempre di più dai vertici romani (una situazione in verità che non riguarda solo il Movimento 5 stelle), rumoreggiano perché ancora non ci sono i responsabili provinciali, nomine che, quasi come tutte, sono appannaggio di Conte.

La lista dovrebbe essere già pronta e anche se la defezione dei dimaiani ha cambiato alcune previsioni. Massimo De Rosa, ex parlamentare e oggi al consiglio lombardo commenta: «Che la struttura venga definita al più presto è necessario, perché abbiamo bisogno di organizzarci. Noi ci siamo sempre mossi su base volontaristica, ma adesso anche i meetup chiedono un sostegno».

In questo stato, dal Movimento ligure non escludono che si faccia ricorso ai pentastellati cacciati perché non hanno votato la fiducia a Draghi. D’altra parte, un eventuale riavvicinamento potrebbe essere coordinato dall’ex ministro Stefano Patuanelli e Alessandro Di Battista, figura di richiamo per tutti quelli che non avevano appoggiato la piega di unità nazionale del Movimento. Lui stesso era stato il primo a lasciare apposta.

Senza prendere decisioni Conte ha ricominciato prendersela col Pd. Come ai vecchi tempi, contro il partito di cui Grillo voleva diventare segretario per poi decidere di passare ai vaffa. Troppo poco. Dopo che Conte è andato incontro a scissioni e malumori, è arrivata la presa di posizione di Grillo ben più decisa dei “penultimatum” del leader. Che fino a oggi sulla gestione interna del Movimento non ha fatto trapelare niente.

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