Mancano ancora i quattro giudici nominati dal parlamento, ma il tempo "di cortesia” è finito e la Consulta ha scelto il nuovo presidente. Che annuncia le nomine per questa settimana
L’attesa del parlamento è finita e la Corte costituzionale ha rotto gli indugi. Senza attendere ancora l’elezione dei quattro giudici di nomina parlamentare ancora bloccata dalle trattative politiche, gli undici rimanenti hanno eletto il nuovo presidente al posto dell’uscente Augusto Barbera. La carica spetta a Giovanni Amoroso, che già la sta esercitando da facente funzioni ed è giudice di nomina della magistratura, indicato dalla Corte di Cassazione.
Subito dopo l’elezione, il neo-presidente ha detto ai giornalisti che la nomina dei quattro giudici mancanti potrebbe arrivare entro questa settimana, giovedì. In conferenza si parla anche della decisione sull’ammissibilità dei referendum.
Seppur attesa, la scelta della Consulta è chiara: preso atto della perdurante impasse della politica, prosegue per la propria strada. Del resto negli ultimi mesi già erano state prese molte accortezze. In ossequio al principio di leale collaborazione e per consentire le nomine parlamentari, la Corte aveva rinviato di una settimana la camera di consiglio sui referendum che era stata inizialmente prevista per il 13 gennaio.
Inoltre, per eleggere il nuovo presidente si è atteso il consueto mese di cortesia (Barbera ha concluso il mandato il 20 dicembre 2024) nel caso in cui l’uscente sia di nomina parlamentare, proprio per consentire alle camere di reintegrare il collegio. Nessuno strappo dunque, ma la presa d’atto che la Consulta ha gli strumenti per non attendere più davanti alla conclamata inerzia della politica.
Eppure, il segnale rimane forte e dà la dimensione di come l’organo costituzionale si sia mosso con accortezza per non far sorgere dubbi di imparzialità ma con decisione ora proceda, anche a costo di sottolineare di riflesso l’incapacità del parlamento di adempiere alle sue funzioni.
Del resto, è l’analisi pragmatica di fonti interne alla Corte, non c’è alcuna certezza che giovedì 23 gennaio – data della nuova seduta comune – i giudici vengano finalmente eletti.
Il voto
Nonostante le rassicurazioni bipartisan, in effetti anche la quattordicesima votazione rischia di concludersi con una fumata nera. Le uniche certezze per ora sono i nomi di Francesco Saverio Marini indicato da Fratelli d’Italia e quello di Massimo Luciani, su cui hanno trovato l’accordo il Pd e le opposizioni. Il terzo profilo, che dipende da Forza Italia, è invece ancora nebuloso: in corsa rimangono il viceministro Francesco Paolo Sisto e il deputato Pierantonio Zanettin, ma la scelta spetta al vicepremier Antonio Tajani, stretto da veti incrociati nel suo partito e dalla contrarietà della premier a indicare un parlamentare come giudice.
Eppure un altro pretendente ancora non è emerso con chiarezza. Il quarto nome, da considerare tecnico, sarebbe conteso tra l’avvocata dello stato Gabriella Palmieri Sandulli e la professoressa di diritto tributario Valeria Mastroiacovo.
Eppure tutto rimane scritto sull’acqua e, fino a quando i nomi non finiranno nell’urna, i condizionali sono d’obbligo. Anche perché, come fa notare un esponente di maggioranza, «ora che la Corte ha deciso sul referendum dell’autonomia, la fretta non c’è più» e quindi, se servisse un «surplus di ragionamento», una settimana in più non cambierebbe nulla.
In realtà qualche rischio c’è. Sul fronte operativo, la Consulta ridotta a 11 giudici è a un passo dal blocco, perché il collegio non può operare in dieci e basta un malanno di stagione per uno dei componenti a fermare i lavori. Su quello politico, più i nomi dei papabili rimangono a bagnomaria sulle pagine dei giornali, più c’è il rischio che rimangano cardinali.
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