Quando domenica scorsa, all’assemblea nazionale del Pd, Elly Schlein ha scelto parole di fuoco contro «cacicchi e capibastone» sapeva o non sapeva di citare Massimo D’Alema? Forse no. L’attuale segretaria aveva 12 anni nel 1997 quando l’allora segretario del Pds se la prendeva contro il «partito dei sindaci» che rischiava, secondo lui, di diventare «un accampamento di cacicchi», signorotti che nel Messico e nel Perù del medioevo combattevano guerricciole piccole ma sanguinose contro gli spagnoli conquistatori.

L’allusione micidiale di D’Alema era soprattutto all’allora potente sindaco di Napoli Antonio Bassolino: la preoccupazione era dovuta al fatto che il combinato disposto fra i deputati eletti col sistema uninominale e la forza dei sindaci votati ad elezione diretta dal 1993 producesse «una versione moderna del vecchio notabilato, la continuazione in modi diversi della vecchia Italia».

Le parole di Schlein sono state lette in maniera più estensiva, come una variazione della sua annunciata guerra contro le correnti. Che poi è un grande classico per il Pd, a parole, naturalmente. Contro le correnti si è stato duro Enrico Letta – tranne lasciare oggi un drappello di parlamentari che risponderebbero a Marco Meloni, suo braccio destro –, e prima di lui Nicola Zingaretti si è dimesso in protesta contro i capicorrente (che erano appena diventati ministri del governo Draghi, a sua insaputa), dopo due anni di segreteria in cui aveva governato facendo patti, appunto con le correnti.

Ancora prima c’era stata la promessa di Matteo Renzi, quella di «usare il lanciafiamme» sulle aree organizzate: è finito a organizzare una corrente sua. Poi ha riconosciuto il generale fallimento: «Il mio errore più grande è stato non ribaltare il partito. Non entrarci con il lanciafiamme come ci eravamo detti. In alcuni casi il Pd ha funzionato, in altre zone è rimasto un partito di correnti. Ritengo che le correnti siano il male del partito».

«Non cedo un millimetro»

Una tradizione di promesse rimangiate. E per fortuna del Pd, in molti casi: perché in un partito allo sbando è successo che spesso l’unica cosa che ha tenuto sono state proprio le filiere. In ogni caso per questa tradizione le parole di Schlein sono state pigramente interpretate dai media nella stessa rituale maniera: «Non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari, su questo non cedo di un millimetro», ha detto la segretaria alla platea della Nuvola. Ma prima aveva fatto una premessa. Che può orientare e affinare l’interpretazione di quello che aveva in testa: «Non vogliamo più vedere irregolarità sui tesseramenti, abbiamo dei mali da estirpare».

Campania verso il ri-commissario

L’impressione, verificata con fonti molto riservate ma molto vicine alla segretaria, è che la premessa offra la vera chiave delle intenzioni di Schlein. Non ce l’aveva con i capicorrente, del resto equamente distribuiti nella sua mozione e in quella di Stefano Bonaccini. Ce l’aveva con quelli del tesseramento gonfiato, e dei congressi annullati che si sono visti in piena campagna per le primarie. 

A Napoli, nel corso del congresso, sono state stracciate 974 tessere non regolari. Irregolarità corpose sono state denunciate anche a Avellino. E a Salerno, per ammissione della stessa commissione provinciale per il congresso, non c’è un’anagrafe degli iscritti. A Caserta sono state escluse 485 iscrizione fatte con PayPal, Carta di credito e prepagate superiori a 3 pagamenti, 1.236 tessere fatte con bonifico da stesso conto, 110 tessere ripetute a stesso soggetto.

Per queste ragioni è difficile, anche tecnicamente, che il possibile futuro commissariamento della federazione provinciale di Caserta non si ri-estenda a tutto il Pd della Campania, già commissariato e dove già il commissario Francesco Boccia si è dimesso durante le primarie per protesta contro le irregolarità di Caserta. In regione l’appoggio a Bonaccini del presidente Vincenzo De Luca aveva un obiettivo non esplicito: il nulla osta per far approvare dal consiglio regionale la possibilità di concorrere per un terzo mandato.

La cosa poteva non dispiacere anche al presidente della Puglia Michele Emiliano, che però ha già un aspirante successore che si scalda a bordo campo, il sindaco di Bari Antonio Decaro, bonacciniano della prima ora ma anche fra i più veloci a complimentarsi con la nuova segretaria e a mettersi a disposizione del suo “nuovo corso”. Con la vittoria di Schlein, quella del terzo mandato è una storia chiusa: se anche la legge fosse approvata, difficilmente la segretaria del rinnovamento accetterebbe l’eterno ritorno di quello che lei considera il cacicco per antonomasia. De Luca, da par suo, promette comunque fuochi d’artificio: «Vedo un periodo di grande effervescenza e di grande allegria davanti a noi», ha spiegato ai cronisti. Schlein è avvisata.

L’eventuale percorso formale verso il commissariamento però è semplice, al netto dei possibili ricorsi: la segretaria indica alla commissione di garanzia le sue proposte, la commissione istruisce la pratica, e infine la direzione nazionale ha 30 giorni per votarla.

Voti migranti

Oltre alle irregolarità denunciate, ci sono i fenomeni in cui la segretaria vuole vedere chiaro. Affiorati nelle cronache per lo più. È successo in Calabria, a Cosenza. E nel Sud del Lazio, nella zona del frusinate, dove ha vinto Bonaccini grazie all’appoggio di Antonio Pompeo (Base riformista), Francesco De Angelis e Sara Battisti, stravotata consigliera regionale nota alla cronaca per l’episodio che ha portato alle dimissioni il suo compagno Albino Ruberti da capo di gabinetto del sindaco di Roma Roberto Gualtieri: in un filmato diffuso dai media, lei lo scongiurava di contenere l’irritazione («Vi sparo, vi ammazzo. Vi dovete inginocchiare») contro due commensali, dopo una cena a Frosinone. Alla cena c’era anche De Angelis. Storia poi spiegata dagli interessati come «un diverbio per motivi calcistici»; e così consegnata all’oblio. 

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