C’è grande confusione sotto il cielo dei socialisti. Il piano di difesa ReArm Europe proposto da Ursula von der Leyen sta spaccando la famiglia europea del centrosinistra e al centro dello scontro c’è il Partito democratico di Elly Schlein, che è anche la componente più numerosa.

Le tensioni erano evidenti da giorni e rischiano di deflagrare sul voto alla bozza di risoluzione di maggioranza in votazione mercoledì. Da una parte i socialisti francesi, tedeschi e spagnoli, decisi al sì al testo proposto da von der Leyen, che parla dell’obiettivo della difesa europea e sostiene il piano di riarmo; dall’altra gli italiani del Pd, la cui linea di partito è di critica profonda all’impostazione del piano. Massima mediazione possibile, per la segreteria Schlein, sarebbe l’astensione. Tuttavia, la quadra non si è trovata e, quando questo giornale è andato in stampa, mancava ancora la certezza di una posizione condivisa.

Per scongiurare il peggio, i pontieri hanno lavorato tutto il giorno: una prima riunione alle 13 ha sancito il nulla di fatto ed è stata aggiornata alle 21, con l’obiettivo di non lasciare il tavolo senza una stretta di mano che però è apparsa molto lontana.

A lavorare per ricucire è stato in particolare il capodelegazione Nicola Zingaretti, che in giornata ha anche incontrato il commissario europeo per la Difesa e lo spazio, Andrius Kubilius a Strasburgo con cui ha parlato della «necessità che il Libro bianco sul futuro della difesa europea sia all'insegna dell'integrazione e dell'apertura di una nuova stagione per un modello comune europeo», perché «la deterrenza è deterrenza solo se europea. Per questo è importante puntare al finanziamento di progetti comuni», ha detto. Un tentativo di distendere i rapporti, trovare punti di apertura e scongiurare il peggio. 

La spaccatura

Eppure la segretaria dem è sembrata convinta della rotta intrapresa: impossibile accettare un sì al piano, nonostante anche nel suo partito si siano alzate molte voci in favore di von der Leyen. «Un primo passo importante», secondo il padre nobile Romano Prodi, e poi anche Paolo Gentiloni, Lorenzo Guerini e Roberta Pinotti. La minoranza riformista interna, infatti, spinge per riallineare i dem ai cugini della famiglia socialista. Per questo gli eurodeputati vicini a Schlein, a partire dal capo delegazione Nicola Zingaretti, hanno lavorato instancabilmente per trovare nell’astensione un punto di caduta, pur nella consapevolezza che almeno due voti – quello di Marco Tarquinio e di Cecilia Strada – andranno sul no.

Del resto, uno strappo ufficiale del Pd rispetto ai socialisti sarebbe a dir poco clamoroso. «Si arriverà a una composizione, la più alta possibile», sono state le parole della vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno, che è favorevole al piano, a margine della plenaria di ieri. La sua è stata tra le poche voci che si sono fatte sentire, per ringraziare la delegazione del Pd per «un lavoro molto importante e molto serio, nel merito dei testi» nella speranza che «poi si traduca in una presa d'atto che si lavora sulle cose standoci dentro. Mi dispiacerebbe se fosse invece a prevalere un atteggiamento diverso, di bocciatura totale».

I vari capi delegazione, infatti, hanno lavorato ad una proposta comune che contenga in particolare il no all’uso dei fondi di coesione per la difesa, così da eliminare almeno il punto più divisivo dal testo ed evitare i voti contrari. A chi le ha chiesto se preveda una convergenza sull’astensione ha risposto che «spero che siano tutti sì, però riconosco che ci sono pareri diversi, a cominciare appunto dal parere della segretaria».

Eppure la questione del riarmo rischia di segnare un solco profondo sia dentro i socialisti che dentro allo stesso Pd, che guarda alla piazza di Roma del 15 marzo per ritrovare un momento di unità almeno interna.

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