I risultati delle elezioni dello scorso 25 settembre mostrano che in Italia c’è un problema di rappresentanza e di indebolimento della democrazia. Il numero degli astenuti ha raggiunto i suoi massimi storici: una larga parte dell’elettorato è disilluso e non partecipa alla vita politica. L’astensionismo ha peraltro una forte componente di classe: il 49 per cento degli elettori nella classe di reddito più bassa e il 47 per cento di quelli nella classe medio bassa non hanno votato.

Non si tratta, ovviamente, di un fenomeno solo italiano, ed è anzi una tendenza in atto nella maggior parte del mondo occidentale. In Francia, alle elezioni che si sono tenute la scorsa primavera, si sono astenuti il 61 per cento dei cittadini nella fascia di reddito più bassa (sotto i 1.250 euro al mese), e solo il 47 per cento di quelli che guadagnano più di 3.000 euro al mese. Una struttura del voto che resta identica se si guarda al livello di istruzione.

Il divario sarebbe stato ancora maggiore se non si fosse presentata l’offerta politica di Jean-Luc Mélenchon, che ha attirato a sé non tanto i voti della Francia rurale, quanto quelli delle banlieues, le periferie urbane. Mobilitando categorie storicamente astenute, Mélenchon è riuscito a ottenere il 20 per cento dei consensi alle elezioni presidenziali. E al tempo stesso, è stata proprio la scarsa mobilitazione delle banlieues alle legislative a impedirgli di raggiungere l’obiettivo della coabitazione con Macron.

Il blocco borghese

Al cambiamento della rappresentanza politica ha dedicato la sua ultima opera Thomas Piketty. Numeri alla mano, l’economista ha mostrato che negli ultimi trent’anni la sinistra classica, rappresentata dai vecchi partiti socialisti e dai loro successori, ha cambiato elettorato di riferimento: dalle classi popolari a un ceto di professionisti altamente scolarizzato e urbanizzato, caratterizzato da un reddito medio-alto. Centro-sinistra e centro-destra finiscono quindi per rappresentare lo stesso «blocco borghese», secondo la definizione di Stefano Palombarini, economista italiano emigrato in Francia.

I “poveri”, disoccupati, sotto occupati, coloro che faticano ad arrivare a fine mese, sono dunque rimasti senza rappresentanza politica. E questo vuoto si è tradotto da un lato nell’incremento dell’astensione, dall’altro in una generale ricollocazione del voto, che ha lasciato praterie aperte ai cosiddetti populisti. Questi ultimi parlano alla rabbia dei nuovi poveri, della classe media disagiata e “proletarizzata”, della provincia impoverita dal nuovo ruolo assunto dalle città.

Nel nostro paese, a guardare i dati, il Movimento 5 stelle, il “padre” del reddito di cittadinanza, ha preso il 25 per cento dei voti espressi tra i più poveri; mentre Fratelli d’Italia che spesso, nell’immaginario collettivo, rappresenta la destra sociale, come già il Front national in Francia, ha preso il 23 per cento dei voti nella classe più bassa di reddito e ben il 30 per cento in quella medio bassa. Il partito di Meloni è, in realtà, un partito che ammicca dichiaratamente al neoliberismo – basti pensare alla proposta di flat tax, e a una lunga lista di possibili ministri tecnici.

Ma neppure il Movimento 5 stelle si può certo definire di sinistra, poiché l’attenzione dedicata al mondo dei poveri è articolata in maniera incoerente – si pensi all’opposizione a una maggiore progressività del carico fiscale – e non è certamente accompagnata da un equivalente interesse al mondo del lavoro.

La differenza con la Francia dal punto di vista dell’offerta politica è dunque molto forte. In Francia il blocco borghese si è consolidato attorno a Macron, spolpando il vecchio partito socialista e attingendo a larghe mani anche dall’elettorato tradizionalmente gollista, una sintesi politica di un processo in atto da decenni.

La sinistra si è invece riaggregata intorno a Jean-Luc Mélenchon, che con tutti i suoi limiti ha offerto un’alternativa politica al voto popolare e arrabbiato che tendeva a convergere verso Marine Le Pen. In Italia l’argine al voto per la destra è stato quello per Giuseppe Conte, il cui inaspettato successo ha in parte ridotto il successo di Giorgia Meloni. Il Pd invece rimane in mezzo al guado, proponendo una offerta politica di centrosinistra ma incapace di attingere voti fuori dal ceto medio-alto.

Risolvere la contraddizione

Nel dibattito, anche su questo giornale, che è seguito alla tornata elettorale si è discusso molto del futuro del Partito democratico. La nostra opinione è che vada risolta questa contraddizione, come sta accadendo in quasi tutto l’occidente.

In Francia Macron ha risolto il dilemma della sinistra “mainstream” decidendo di virare decisamente al centro, portando alle estreme conseguenze sia la linea liberista in economia che quella liberale sui diritti civili. Ha potuto fare la prima cosa perché la Francia è un paese dove il ruolo dello stato e il peso dello stato sociale sono molto importanti, il mercato del lavoro è più rigido che in Italia, e c’è quindi spazio di manovra per ridurre le tutele dei lavoratori senza smantellare integralmente lo stato sociale.

Prendendo apertamente e senza ambiguità posizioni neoliberali in economia, Macron ha automaticamente favorito l’emergere di una sinistra alternativa, quella rappresentata dalla France insoumise.

Negli Stati Uniti è invece il vecchio Partito democratico ad aprirsi a nuove istanze, a cercare il voto operaio, a inaugurare una nuova stagione di attenzione al mondo del lavoro. In un momento in cui la questione sociale diventa sempre più esplosiva e la fiducia nella democrazia è in costante calo, è urgente dare voce agli ultimi, ed evitare che escano in maniera stabile dal perimetro della rappresentanza democratica. O, peggio, che la protesta assuma forme pericolose.

Quando ci si interroga sui lati oscuri del populismo si tende troppo spesso a ignorare che questo fenomeno trova forza propulsiva proprio tra coloro che, in un modo o nell’altro, sono stati “espulsi” dalla rappresentanza. Ecco che allora una sinistra che sappia guardare al mondo dei più deboli non è solo una impellenza politica ma anche una necessità democratica.

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