Piazza del Popolo è gremita per lo sciopero generale dei sindacati. Si accede solo mostrando il green pass ai varchi nelle transenne: a quel punto dal servizio d’ordine si riceve un adesivo per tornare fuori, come in discoteca. Nel recinto i manifestanti sono migliaia, quasi perfettamente separati tra la metà rossa, quella della Cgil, e quella blu, della Uil.

Gianluca Griffo è un assistente di volo senior di Air Italy e insieme ai suoi colleghi ha scelto di piazzarsi sotto il palco da cui parlano prima i segretari delle organizzazioni di settore e, in chiusura, Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della Uil, e Maurizio Landini, capo della Cgil.

I dipendenti della compagnia di volo hanno portato uno striscione che recita: «Draghi: Air Italy, il giusto atto sacrificale». Una manifestante regge un biglietto aereo gigante, tutti gli altri si nascondono dietro maschere bianche senza tratti del viso. 

«Dallo scorso 9 dicembre noi saremmo licenziati, se non che i liquidatori che hanno in mano la liquidazione collettiva dei 1.300 lavoratori hanno congelato l’invio delle lettere», dice. «Chiediamo pari tutele, così come sono state garantite a tutti i lavoratori Alitalia. Non stiamo cercando ammortizzatori sociali, ma un risvolto industriale, che sia in Air Italy o in Ita». 

Le preoccupazioni dei manifestanti

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Come lei in piazza ci sono tanti altri lavoratori che si sentono messi in secondo piano dalla manovra del governo Draghi: i temi che ricorrono sono la scarsa tutela dell’occupazione, ma anche l’iniquità della ridistribuzione delle risorse disponibili e il fatto che con la manovra possano essere avvantaggiati i redditi medi più di quelli bassi. 

«La finanziaria non ci dà chiarezza sulla stabilizzazione dei precari che abbiamo assunto nella sanità campana durante l’emergenza Covid», dice Ciro Chietti, segretario regionale della Campania della Uil, alla guida di un nutrito gruppo di manifestanti muniti di tamburi e pettorine blu. 

«Noi siamo lavoratori dipendenti e non potevamo non essere qua oggi», dice Paolo, con un fazzolettone rosso al collo. È arrivato con due amiche da vicino Firenze. «Le condizioni che crea la manovra sono inaccettabili: le risorse a disposizione sono ripartite in maniera iniqua. Sul nostro territorio c’è la Gkn, una delocalizzazione che non ha nessuna ragione specifica: non si può far finta che non esistano situazioni del genere».

Nella metà “rossa” della piazza c’è anche Arianna, capelli lunghi e rossi, vent’anni, che sventola una bandiera di Rifondazione comunista ed è arrivata dalla Versilia. «Mostro la mia appartenenza con orgoglio, è giusto essere qui perché non mi sento tutelata. Sono una studentessa e mi aiuto facendo la stagione come cameriera: non abbiamo tutele né diritti e spesso neanche un contratto. Io, per lo meno, non ce l’ho».

Intanto, Bombardieri si lancia nel suo intervento conclusivo sul palco. Il megaschermo al suo fianco mostra alternativamente il volto del segretario e le panoramiche della piazza, colorata da bandiere, fazzoletti, cappelli e palloncini. «Siamo fieri e orgogliosi di rappresentare chi è rimasto indietro. Una prima battaglia l’abbiamo già vinta, abbiamo costretto il paese a interrogarsi. C’era una narrazione che tutto andava bene, il 6 per cento del Pil, ma il paese deve guardare chi sta indietro, c'è gente che sta male», dice. E la gente applaude. 

Delusione Draghi

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«Non mi piace la riforma fiscale, non mi piace che i nostri figli siano penalizzati quando cercano di accedere al mondo del lavoro», dice Francesco, che con la sua compagna è venuto alla manifestazione da Caserta.

Entrambi portano i cappelli con la visiera della Uil. «Sono pensionato e ho sempre pagato le tasse, ora sarò penalizzato dalla manovra. Mio figlio ha due lauree, non riesce però a trovare un impiego, oggi fa il volontario in Africa». È deluso dal governo Draghi perché «sembrava che dovesse impegnarsi in riforme strutturali ma in realtà non stiamo vedendo nulla di concreto». 

Tanti si aspettavano di più anche sulle pensioni, come Luca, 58 anni, che lavora in una ditta di pulizie di Terni che ha appena perso la gara per il rinnovo del principale appalto che gestiva. «A me ormai interessa la pensione: secondo me non è stato fatto abbastanza su quello», dice. 

«Il problema poi sarà pure per i giovani, che già non hanno un futuro molto roseo davanti a loro». Per lui, tutto è partito col Jobs Act, «io quella riforma lì non l’ho proprio capita. Mi ha fatto rabbia, hanno creato solo precariato, ormai lavorano solo le agenzie di collocamento. Non c’è più futuro». 

Nel frattempo, è salito sul palco Landini, che indossa un maglione rosso sotto la giacca, per iniziare il suo intervento. Alla fine, il comizio durerà un’ora. «Quello che divide il paese non è lo sciopero generale ma l'evasione fiscale, la precarietà sul lavoro, l’ingiustizia verso le classi più disagiate», dice.

Ripercorre tutto il dialogo con il governo sulla manovra annunciando che è arrivato un nuovo invito da Draghi. «La convocazione dei sindacati a palazzo Chigi dopo la proclamazione dello sciopero sicuramente è un segnale di attenzione ma non ci basta».

Alla fine del suo intervento parte La storia siamo noi di Francesco De Gregori e la piazza applaude, prima di iniziare lentamente a defluire. Enrico, forlivese mezza età e occhiali da sole a goccia, impugna una bandiera della Uil ed è soddisfatto della manifestazione. 

«Il governo non conosce il paese reale. Sono cose che diciamo da qualche mese, ma in un paese in cui le multinazionali la fanno da padrone, non pagano nemmeno le tasse, i lavoratori vengono licenziati via WhatsApp ora abbiamo la dimostrazione che chi ha partorito questa manovra rappresenta ben pochi».

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