A che cosa servono le conferenze stampa e con quali accorgimenti sono istituite? Nel corso del Ventesimo secolo, i governi democratici hanno riconosciuto la necessità di comunicare le loro politiche al pubblico e la conferenza stampa si è rivelata la forma più efficace. Parallelamente, il giornalismo è progredito fino a svolgere un ruolo di “cane da guardia” del potere, non cane da salotto come nei regimi a partito unico.

Insomma, dimmi che forma ha la conferenza stampa e ti dirò che governo sei. The Routledge Handbook of Language and Politics dedicato alle press conferences ci dice che la storia e le modalità delle conferenze stampa sono forse lo spaccato più eloquente del carattere di un governo.

Ci informano Mats Ekström e Göran Eriksson che, con la democratizzazione, si è passati da incontri controllati e confidenziali, non registrati, tra politici di spicco e giornalisti, a un’arena di responsabilità pubblica con un grande significato per il ciclo di produzione delle notizie. Una conferenza stampa si svolge su iniziativa politica del proponente e i contesti nazionali e il genere comunicativo cambiano all’interno di un modulo che è come una recita pre-pianificata dal politico o leader di governo con una sessione di domande e risposte animata dai giornalisti, generalmente accreditati dal promotore della conferenza. La distinzione di tendenza delle testate giornalistiche e il pluralismo partitico hanno reso possibili conferenze stampa meno rituali e più informate.

L’imponente forza dell’audience mira a non tanto dar conto ma a costruire la percezione che il leader desidera promuovere presso il pubblico. Anche per questa ragione propagandistica, lo stile delle conferenze stampa diventa una fotografia di chi le convoca. Nel 1963 è stato nominato il primo addetto stampa della Casa Bianca che ha usato l’ottima performance televisiva del presidente John F. Kennedy lanciando una nuova forma di conferenza stampa aperta ai giornalisti, liberi di fare più di una domanda e di incalzare il presidente.

Il leader svedese Olof Palme, nominato primo ministro nel 1969, era molto “attento alla stampa" e durante il suo primo mandato ha avuto contatti quasi quotidiani con i giornalisti e organizzato conferenze stampa che sono diventate la forma istituzionale delle conferenze stampa nel suo paese. In Germania, la conferenza stampa prevede che i giornalisti possano fare una seconda domanda e avere quindi l’opportunità di chiedere conto delle affermazioni dell’intervistato.

Niente di tutto questo si è visto nella conferenza stampa di Giorgia Meloni il 4 gennaio scorso. Ciascun giornalista aveva una domanda a sua disposizione e i giornalisti hanno evitato di chiedere spiegazioni sulle affermazioni fatte rispondendo alle domande dei colleghi. Così le mezze verità e le non verità sono scivolate via, con una diretta che ha lasciato i telespettatori nella persuasione di vivere nel migliore dei mondi possibili, con un governo che garantiva la maggior crescita del Pil in area euro, che aveva mappato le coste in pochissimi mesi, che garantiva che eleggere direttamente il capo del governo non avrebbe cambiato i poteri del presidente della Repubblica.

Il direttore di Rai News24 ha rinunciato a fare domande «per evitare ripetizioni»: tutto era già stato chiesto e le risposte di Meloni erano vere oltre ogni ragionevole dubbio. I modelli non sembrano essere stati né Kennedy né Palme ma semmai Kim Il-sung, Hugo Chávez e Viktor Orbán, le cui conferenze stampa sono lunghe carrellate di grandi obiettivi raggiunti e progetti maestosi.

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