Fra 48 ore si vedranno a Villa Grande, nella casa che fu di Franco Zeffirelli. Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi torneranno intorno ad un tavolo per parlare del Colle.

Convitata di pietra sarà Letizia Moratti, attualmente assessora al Welfare e vicepresidente della regione Lombardia. Ieri Giuseppe Conte a Tagadà ne ha lodato le doti morali e oggi diversi giornali ne mettono la foto, facendola entrare ufficialmente nel borsino dei candidati vista Colle.

Tutto è nato perché Giorgia Meloni l’ha incontrata nei giorni scorsi a Roma, oggi la circostanza è stata confermata, anche se Meloni sottolinea che non si sarebbe parlato di Quirinale.

Al di là delle chance della singola candidata (qui l’articolo di Domani che analizza i punti deboli di Moratti), la sua candidatura pone una domanda: è possibile che un esponente del centrodestra che non sia Berlusconi possa essere votato da altri partiti (a cominciare da Italia viva)?

È anche l’argomento che tanto sta irritando Silvio Berlusconi. Lo spiega oggi a Repubblica Osvaldo Napoli di Coraggio Italia quando dice: «Derubricare poi la candidatura di Berlusconi a un piano A, seguito da piani B e C è abbastanza umiliante per il piano A e poco esaltante per gli altri candidati che diventerebbero di risulta».

Per Mr. B, insomma, il solo pensare a un piano B risulta offensivo. Ma i voti per il Cav. ci sono? Sulla Stampa stamattina filtra un commento del fondatore di Forza Italia attraverso un suo “fedelissimo”: «“Se Mario Draghi dovesse essere della partita, Silvio si ritirerebbe”. (…) Lo schema che ci si immagina oggi è questo: se alle prime tre votazioni non uscisse Draghi (è già difficile che si vada oltre la prima), allora entrerebbe in scena il Cavaliere». Alla quarta votazione.

Il Financial Times

A proposito di Mario Draghi, interessante che il Financial Times sia tornato ieri sul tema: non possiamo fare a meno di Supermario. Questa volta, però, a differenza di qualche giorno fa, il giornale finanziario londinese “vota” per Draghi al Colle.

Lo fa ospitando un editoriale di Bill Emmott, ex direttore di quell’Economist che ha scritto un editoriale (qui sul Foglio) in cui sostiene che sarebbe «una soluzione imperfetta» ma «la migliore per l’Italia».

«Dovesse ascendere al Quirinale a febbraio», ha scritto Emmott, «in parlamento potrebbe rimanere appoggio sufficiente per la formazione di un nuovo governo ad interim , quello che gli osservatori chiamano un governo-fotocopia vicino all’attuale amministrazione Draghi. Sarebbe probabilmente un governo debole ma in grado di continuare il lavoro sulla comunicazione pubblica e sull'investimento attento dei fondi europei».

Poi, nel 2023, le elezioni politiche potrebbero essere «guidate da Draghi presidente». Bill Emmott come Giancarlo Giorgetti? Dovremmo ipotizzare che il suggeritore sia lo stesso…

Le fanta previsioni del Corriere

Non bastasse Omicron, le Borse che cedono, il rischio di stagflazione, previsioni fosche si affollano sui giornali in vista del voto per il nuovo presidente. Antonio Polito lancia una nuova rubrica distopica per il Corriere della Sera (Il Fanta Colle), dove nella prima puntata si ipotizza un’elezione molto travagliata e senza esito fino alla decima votazione.

«Il Paese rumoreggia. I leader, spaventati, vanno in processione da Draghi, pregandolo ora di accettare: fa’ tu il presidente e indica pure tu un nuovo premier». Draghi come Pertini, o come più recentemente il secondo Napolitano, verrebbe richiamato per disperazione.

Il presidente uscente Sergio Mattarella, congedandosi dai diplomatici italiani, ieri è tornare ad auspicare che si torni allo «spirito che ha costruito la Repubblica, che ne alimenta la vita, che rafforza tutte le istituzioni, che conferisce autorevolezza e che alimenta la fiducia nell'Italia». Il successore dev’essere un costruttore.

© Riproduzione riservata